Mi vidi andare

Mi vidi andare in una foresta
dall'alto dei rami mi scorsi la testa
andava sperduta tra grossi tronchi
sentendomi un altro, vedendomi fuori
forse cercava me che la notte
in silenzio mi alzai e sorvolai
la città le case ed ogni finestra.
Io me ne andai vedendomi molto
ormai lontano dal me sul ramo
cercando l'uscita mi vidi di nuovo
stavolta più grande di qualche anno
cercarmi ancora nella foresta
non mi riconobbi: scrollai la testa
e continuai. Non ero solo: io c'ero
bambino, i capelli più chiari gli occhi
entusiasti. Io mi incontrai per
mille altre volte, in età diverse
in tutti i possibili sentieri diversi
di quella foresta che forse è una testa
di me quando volli volare lontano.


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Lezione d'arte (2)

Comincio a pensare che forse la Letteratura e tutte le Arti possibili, anche la musica, siano qualcosa che a nessuno in realtà va di fare.
Il discorso funziona se pensiamo che le opere migliori (consideriamo la Letteratura, perché qui è più facile parlarne con esempi riferiti alla scrittura) non parlano e non esplorano la personalità dell'autore al modo delle biografie, ma di altre "persone" (sbagliatissimo! leggere: "i personaggi"). La Madame Bovary di Flaubert ne ha cambiati di gusti di lettori, ha come innalzato lo standard di attesa da parte del pubblico. E il discorso funziona se pensiamo anche che oggi più che mai non vale la pena fare niente di buono per gli altri.
A nessuno va di fare qualcosa che non sia rivolto al bene personale individuale. E Flaubert scrisse diverse decine di lettere ad amici e famigliari durante il periodo della stesura di Madame Bovary, in cui raccontava loro di quanto atroce fosse il suo lavoro di immedesimazione di sé in una sciaquetta senza valori della borghesia ottocentesca. Flaubert venne tormentato da quel romanzo perché non lo stava scrivendo pensando alle sue esperienze di vita, anzi tentava - e riuscì - ad abbandonare ogni suo possibile punto di vista, in primo luogo ovviamente il suo punto di vista etico e morale; e da lì facilmente, con una buona immaginazione, all'abbandono di sé e all'assunzione di una nuova identità (immaginaria).
Quando inventi qualcosa di nuovo, cerca di pensare a qualcosa che non ti piace ma che può piacere a qualcun altro, o che può fare qualcosa rivolto al suo bene personale. Devi abbandonare i tuoi standard. Sono troppo alti: abbassa la tua soglia del concetto di "utilità". Pensa come un mostro che gestisce un blog. Pensa come un Flaubert, perché se sei ben addentrato nella cultura contemporanea, il tuo abbassamento non potrà che portare a risultati che appariranno mediocri. E non è uno svantaggio! La mediocrità sarà la forma che attirerà la maggioranza delle persone, è il loro standard, per alcuni sarà fantastico, molti si riconosceranno in quello che realizzi (come successe a molte ragazze che lessero Flaubert).
In questa riflessione è implicito un comando: realizza. Non spaventarti se non ti piace, ma comincia e finisci e mostra ciò che sai fare: ci piace vedere chi fa cose difficili con estrema naturalezza. Tu migliorerai e gli altri penseranno che quell'azione sia parte della tua personalità: è un bluff, ma siamo fatti così. Se fossimo dei geni, ci saremmo già estinti: a volte è meglio fingere.
L'autore di qualsiasi forma artistica si copre dietro alle sue opere e gli altri pensano di vedere qualcosa che faccia capire qualcosa anche di loro, alcuni fruitori poi si affezionano all'immagine dell'artista, a tal punto da credere che quelle opere siano state realizzate per loro e non per altri, come se l'artista pensasse a loro individui.
In Arte gli autori fingono e fanno cose che a loro poco piacciono. Ma "bellezza" è un concetto frivolo in età contemporanea, è bello il presente contingente, la quotidianità, il banale; mentre nei secoli passati solo in sporadici momenti, quelli giudicati di solito più "noiosi" dall'opinione comune contemporanea, sono stati accesi da una sincera ammirazione per gli eventi quotidiani (Si pensi all'Inferno di Dante, al Decameron di Boccaccio, alle Storie fiorentine di Guicciardini). Nonostante le storie popolareggianti sono tornate nella Letteratura Italiana soltanto a partire da Pasolini, già se ne rischia la saturazione, lo sfinimento delle possibilità in luoghi comuni. Non puoi affidarti quindi solo al pensiero popolareggiante: passano alla storia infatti solo gli autori dallo spirito più critico e raffinato, quelli che hanno studiato e riflettuto fino in fondo sulle più alte vette del pensiero della sua rispettiva epoca.
E il discorso qui si complica, perché non puoi realizzare un'opera che piaccia se fatta solo di sistemi logici di pensiero, per quanto reali essi vengano presentati o fatti sentire. L'allegoria fa troppo medioevo e non invoglia l'immedesimazione. C'è quindi un terzo piano che fa da ponte tra la novità-scoperta e il banale-abituale, come tra futuro e passato c'è di mezzo il presente (affermazione discutibile), e sul quale agisce tutta la possibile forza di mistero e stupore per il continuo manifestarsi degli eventi e delle relazioni tra cose. Un'epifania prolungata? Una vita da genio? Un atteggiamento da bambino che scopre per la prima volta in vita sua qualcosa di cui non si era mai accorto legato alla consapevolezza di un vecchio disilluso. È possibile sentire quella forza misteriosa che affascina anche quando mostra i lati negativi, che fa ciò che ci piace e ci fa paura con un'indifferenza invidiabile. È un'ironia che, demistificando, afferma sé e il contrario di sé. Come la vita, in tutte le sue possibili manifestazioni: lo scorrere del tempo, il mutare degli stati della materia, l'esserci e il non esserci... Che noia. Se fosse un film non accadrebbe niente, ogni tanto si vedrebbe comparire una forma su un punto dello schermo e dopo un secondo sparirebbe, poi un'altra, poi altre tutte insieme, e così via all'infinito.
Ricordati allora che il cervello umano trasforma il niente più indifferente in storie per lui affascinanti, importantissimi (fino a diventare miti). Vorrei ricordare anche che questo discorso sostiene contemporaneamente con la stessa forza il pensiero ateo e quello religioso, perché dà ragione ad entrambi. E pure torto: l'ateo e il religioso sbagliano entrambi perché focalizzano i loro amori e odi verso metafore del linguaggio, soltanto rappresentazioni-immagini in forma materica vuote, senza reale riferimento a qualcosa che possa dirsi "esistente" (mutevole, soggetto al divenire, che entra nell'essere e poi scompare dallo spazio e dal tempo). Molti, dotati di parole convincenti costringono ad abituarci a quello di cui dobbiamo stupirci, quello che stupiva l'uomo primitivo come stupiva noi bambini. Non solo persone, anche molti eventi negativi sembrano parlarci in questo modo, cercano di spegnerci l'entusiasmo perché si fermano sui loro limiti; limiti di capacità, limiti di spazio, limiti di tempo: ogni cosa, persona, evento, momento, luogo allora sembra vuoto e senza senso, da riempire di cose e di sensi. Ogni cosa ha limiti, e non sappiamo se contengano o no "cose" di altri stati ontologici come "spirito", ma ormai sappiamo che gli uomini, gli animali politici parlanti, non fanno che attribuire spirito a tutto. Non c'è niente di negativo in tutto questo: pensa che se non ne avessi la capacità, non saresti stato capace di goderti, nel momento in cui accadeva, gli abbracci e i baci pieni d'amore dei tuoi genitori, o di amici, o di persone che ami; né ti potrebbe piacere una musica, un'immagine, un paesaggio, una forma eccetera...
Per tornare a concludere la premessa di questo discorso, nessun artista credibile, per principio si "abbasserebbe" a rappresentare la banale realtà quotidiana, perché la sua soglia di attesa dalle opere (artistiche o non) è molto più alta rispetto ad essa. Eppure, è costretto a farlo per amor degli altri: la gente può capire con più disponibilità ciò da cui può essere attratta, e le pubblicità e gli intrattenimenti più consumati indicano che gli standard sono sempre fra i più bassi (riferimenti alla corporeità: al sesso, al cibo, alla comodità della postura; facilmente estendibili ad altri atteggiamenti futili e fini a sé stessi). Il tuo gesto consapevole non sarà così fine a se stesso, ma aiuterà a mostrare l'assurdità della soglia del piacere contemporaneo.


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                      un'altra nel vuoto o in una pietra]

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si scioglie il cuore se sei qui davanti

Il feticista che cambiò il mondo

Ho conosciuto in piazza un ragazzo più grande di me e mentre bevevamo mi ha raccontato la sua storia.
Diceva di essere pervertito, e io me ne accorsi da come guardava le signore che aspettavano il turno dal parrucchiere dalla vetrina che dava in strada, e che gli piacevano i piedi delle signore. 
Era un uomo contento: diceva di aver scritto lettere a grandi marchi commerciali per dirgli che secondo lui nella pubblicità sia in tv che nei cartelloni, dovevano esserci bei piedoni puliti, succosi e venosi di signore mature. 
Bevve il bicchiere di vino rosso e continuò a dirmi che in risposta gli arrivavano lettere in cui i grandi marchi lo ringraziavano delle preziose intuizioni che, dicevano, sarebbero certamente servite per le loro campagne pubblicitarie perché a loro interessava quello che alle persone come lui piace. 
Adesso per via di questa storia, il ragazzo è rispettato da tutti. 
Lo salutano per strada e poi dicono sottovoce ai compagni: "Quello è il feticista di cui parlavo...", e lui ne è orgoglioso.
Cercava, credo, di insegnarmi che quando sento qualcosa dentro, un istinto, una voglia che non può essere che buona e piacevole, allora mi basta poco per essere accontentato, e il risultato si vede, pensavo mentre sulla stessa strada trovavo già il decimo cartellone con una signora a casa coi piedi nudi in primo piano che rideva stringendo la sua bottiglia di detersivo.



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