Il 2019 Mostroblog

Ecco le novità del Mostroblog nel 2019:



  • Infine ecco un mio personale consiglio per voi: la concentratissima satira menippea di Il premio.

Recensire o spiegare tutto quello che c'è mi è per ora impossibile, perciò esplorate il buon vecchio Archivio e cercate argomenti e riferimenti nascosti.
Meravigliatevi, spalancate la vostra mente e spulciate le sporche pagine (virtuali) di Mostroblog! Buon anno nuovo!
Nell'epoca neo capitalista dove tutto sembra bello per spillare soldi facilmente, riacquistano un valore molto positivo le cose che generalmente il pensiero medio giudica brutte.
Le cose brutte immerse nell'apparenza del Bello danno un senso di realtà, come se fossero più vere delle altre. Le persone brutte si sentono diverse e non sanno rimediare, il motivo dev'essere che i belli vivono in un mondo tutto loro fatto di finzione, dove è tutto artefatto e mascherato per poter apparire - appunto - e non perché siano realmente belli sempre e in ogni particolare.
Alcuni di loro sono addirittura diventati belli da brutti che erano, grazie all'ostentazione dei loro difetti estetici, quindi in qualche modo cambiando sé stessi, barando, manomettendo il proprio aspetto e fingendo di essere belli. Una volta fatto questo, i nuovi belli o abbelliti nel corso del tempo e che comunque fingono di essere belli, disprezzano quelli non belli (i brutti), dimenticando il loro passato, o, sentite sentite, fingendo di non essere mai stati brutti.
È che ci si vergogna di essere brutti quando tutte le persone e persino le cose, come quelle del supermercato, sono belle, e uno pensa che quelli belli ci sono nati o fatti apposta così.
Falso falso falso.
Volete la prova?
Prendete una foto dei vostri nonni. Scommetto che sono brutti anche loro.
Anche i miei.
Questo dimostra il fatto che nel passato, quando la gente era più vera e genuina e senza fronzoli, eravamo tutti più brutti. Dei mostriciattoli strani e pelosi, che non superavano il metro e cinquanta perlopiù.
Poi sono arrivati il fitness e l'estetica, sbeffeggiati da ogni parte per la loro destinazione prettamente femminile. E tutto a un tratto toh! anche Brutilde diventa alta e formosa. Curare il proprio corpo è una cosa che chiunque venuto dal passato odierebbe e sbeffeggerebbe di noi. Prenderebbe in giro il bello perché è inutilmente artefatto, è bello per prendere in giro chi lo guarda. Quando qualcuno o qualcosa è scadente ha bisogno di agghindarsi, quando nasconde qualcosa di negativo. È una fregatura, una truffa.
I brutti coscienti di ciò si rassegnano in genere a vivere insieme a gente brutta ma vera, anche a innamorarcisi, ma rimanendo un po' scontenti perché avrebbero comunque preferito di essere amati da una persona bella.
I belli non sospettano niente e ignari di tutto, si chiedono cose'è che non va nella loro vita o condotta, ma per sentirsi meglio devono diventare diversi, ad esempio in palestra, cosa che generalmente fa bene, ma non quando la si fa quando si vuole solo essere più belli.

I want to kill my guitar!

Ogni buon chitarrista nutre un desiderio malsano verso la sua chitarra. Dopo i morsi alle labbra per comprarne una costosissima è normale voler uccidere una chitarra, consumarla, odiarla, schiaffeggiarla, prenderla a calci, spararla, violentarla, sbatterla, distruggerla, bruciarla, sentirla gridare quella bastarda bigotta capitalista, sbigottirla, scandalizzarla, torturarla psicologicamente, traumatizzarla, farla piangere, rubare tutto quello che ha e poi abbandonarla.
Il solo immaginarlo consola e soddisfa: la musica infatti rialza l'umore.
Perché una chitarra la si deve amare come una signora, come una bellissima e buona moglie ma anche come una lurida fetida cagna.
Lei strilla, ma tu uccidila perché l'ami. Perché anche lei ti ama e lascia che tu la tratti così, se non lo fai non si comporta così bene e torna una chitarra come le altre. Anzi, diventa un semplice oggetto. Invece lei è l'unica che ti lascia sfogare per ore, per giorni, per sempre, ti mostra senza ritegno ogni suo preziosissimo tasto, e tu ami ognuno di loro sulla sua tastiera, li vuoi premere tutti, dai più bassi avanzando nelle corde, e poi sempre più giù, sempre più giù fino ai tasti altissimi che non bastano e ci vuole un bending per andare oltre. Accarezzala con il lato del pollice dopo una plettrata violenta per far partire l'armonico, come una carezza dopo uno schiaffo, come un urlo di dolore, fai ondeggiare quello strillo che stupisce ogni volta. Va a finire che entrambi conoscerete tutto dell'altro, ogni fibra del legno, ogni callo sulle dita, ogni stato d'animo. Si finisce in uno stato di perversione e feticismo, e di amore estremizzato. 

Nella centrifuga di una lavatrice

Questo mare è un calzino rovesciato
perso spaiato tra le magliette del bucato
che ti lascia mezzo protetto
mentre un piede è nudo e freddo
ma a te basta a saltare al trapezio
vaste porzioni importanti di spazio
e lo chiami il tuo percorso
saltarle senza aver rimorso.
Incosciente distruttore di universi
tu che salti coi calzini persi!
Nella centrifuga di una lavatrice
trovi l'idea e la forza motrice?
Nel programma adatto di lavaggio
vuoi esaurire tutto il tuo viaggio?
Trovi percorsi e destinazioni
dentro al libretto delle istruzioni
o nelle brochure fantastiche
di mille agenzie turistiche,
sei tornato? hai fatto il viaggio!
hai perso soldi! ma quale viaggio?
Sei rimasto chiuso in casa
senza uscire, al buio in casa
non è cambiato niente
- non hai fatto o visto niente -
se non hai indossato il mare
che è un calzino rovesciato.
La gente seria è più divertente
E si degrada mentre si espone
Chi si crede importante
È pollo
E vuol sembrar pavone.
Bagnati dal sole
sono i palazzi
e chi corre a tuffarcisi fuori

Io che non ho finestre
mi sgocciola solo
da piccoli buchi nel tetto.

Ancora su "La Galassia dei Dementi" di Ermanno Cavazzoni

È stato già osservato, almeno in maniera vaga come il romanzo di Cavazzoni del 2018, La galassia dei dementi, somigli a una di quelle opere della Letteratura popolare italiana medievale e rinascimentale, come il Decameron o l'Orlando Furioso o (il barocco) Cunto de li cunti, caratterizzate da un uso giocoso della fantasia e dell'immaginazione come base per l'invenzione narrativa. Atteggiamento, questo di gioco, che restituisce ai loro lettori un approccio tollerante nei confronti della fantasia, consolatorio ed anche esaltante, ma non certo pauroso.
Punto importante questo: la fantasia, la devianza dalla razionalità, l'uso dell'immaginazione non vogliono fare paura. Mentre la stragrande maggioranza dei libri smerciati dal Settecento ad oggi esprime un atteggiamento snob verso il mondo della fantasia e dell'immaginazione (ad esempio insistendo sul terrore verso i pazzi e la follia, sull'infrazione della norma-tradizione), Cavazzoni riprende a farne un gioco, ma un gioco molto molto serio, di ricombinazione dei dati della realtà e delle conoscenze scientifiche. Questo atteggiamento nei suoi confronti, inscrive il poderoso romanzo dello scorso anno a pieno diritto nel filone medieval-rinascimentale della letteratura anti-realista: definizione con il quale vogliamo intendere la Letteratura pre-realista, recante i caratteri già notati da critici come Bachtin (in Dostoevskij o Rabelais) o Celati (in Finzioni Occidentali), e che si ricavano per contrasto, cioè confrontandola con la letteratura realista prodotta a partire dal Seicento e che esplose invece dal Settecento. Una letteratura diversa, quest'ultima, perché esprime la nuova mentalità dell'uomo moderno, orientata verso l'individualismo ed egoismo, verso la cura vittoriana della facciata pubblica per nascondere i lati passionali, pulsionali, inconsci. Nel Realismo le poetiche si basano su ciò che è presunto osservabile e sperimentabile da tutti: sull'ambiente, su ciò che si vede (alla luce), che è chiaro, senza misteri, razionale e scientifico, più oggettivo possibile. Ecco perché in quei secoli nasce l'idea stessa di una paura verso le incontrollabili manifestazioni della intima e privata vita psichica, o si sottovaluta tutto ciò che è soggettivo, si ridicolizza il lavoro dell'immaginazione, da quegli stessi secoli abbassata a materia per libri da piccoli (vedi anche Laura Ricci, Paraletteratura).
Forse è proprio con l'Orlando furioso che La galassia ha più tratti in comune, perché la riflessione su ciò che è "normale" e ciò che non lo è, viene posta sistematicamente dietro a ogni pagina, in ogni nucleo narrativo. Cosa è reale e cosa non lo è, risulta una domanda problematica e tutt'altro che risolta, neanche gli autori sanno né vogliono indicarcelo nelle loro opere: vogliono "moderatamente" ribaltare le convenzioni a riguardo.
Cavazzoni diventa qui l'eremita, il pensatore solitario che, quasi come un nuovo Leopardi, porta avanti la sua disperata campagna contro un progresso scientifico, tecnologico, merceologico che risulta oggi, senza troppi fronzoli e menzogne, il nostro vero e proprio orizzonte culturale, la base di conoscenze condivise da tutti. Quasi senza speranza rimane il suo messaggio: cioè avvisare gli uomini del XXI secolo che si sbagliano a credere che non esista altro al di fuori della Scienza, al di fuori dell'oggettività condivisa che viene incoraggiata a partire dal Sei-Settecento a discapito del mondo interiore psichico e soggettivo.

Ricorda Futurama perché ad essere presa in giro non è la Scienza di per sé, che rimane una manifestazione del nostro amore e interesse per la Natura, ma per quella sottospecie di conoscenza scientifica vaga e imprecisa, immaginifica, che caratterizza effettivamente la società contemporanea dell'Occidente. Gli occidentali "medi", ispirati da volumi di letteratura moderna e positivistica, si proclamano possessori di una Sapienza che fornisce loro una mentalità più avanzata, progredita e perfezionata rispetto alle sapienze di altre culture. Gli occidentali inneggiano la scienza e la tecnologia perché producono meraviglie, cioè anche più delle risposte ai loro bisogni, e regolano le loro esistenze. Si vive sempre più nelle città, che vengono costruite e mantenute appositamente per far sopravvivere il meccanismo che le tiene in piedi, perciò anche la morale e la cultura in generale si abituano alla vita controllata dall'economia del mondo globalizzato; si sta comodi stando a certi patti, ma si dimentica e si ignora tutto ciò che dalla città è fuori, oltre a tutto ciò che c'era prima. L'umanità si preclude delle strade per il futuro, orientandosi sempre più verso una condotta, una possibilità, ed escludendo le infinite altre. Si esalta il presente e il vicino, e si ignora la Storia e il lontano: ognuno esalta se stesso vanamente, pensa di farcela da solo o di essere migliore e più dotato degli altri. Tutti la pensano così, di essere autosufficienti, e questo va bene perché ormai possiamo dire sdoganato e accettato da tutti l'individualismo dilagante. Siamo in Occidente, siamo seri, scientifici e tecnologici, non abbiamo tempo da perdere per gli altri. Se l'economia, la politica, la scienza e la tecnologia (la Ragione) regolano la mia vita allora ci pensano loro stesse a farlo anche agli altri. E così ognuno si sente dispensato di fare qualcosa di buono, utile... di fare qualcosa. Dipendiamo dal sistema e ogni iniziativa viene scoraggiata da una parte o dall'altra, cioè o dalla Società o dalla politica e dalle leggi, a meno che non sia molto moderatamente personalistica: cioè sono tollerati soltanto i servizi per acquirenti-consumatori-turisti, che non turbino troppo il meccanismo del sistema.

In questo sistema possiamo dire esserci ancora un angolo, disprezzato, di sottocultura (purtroppo!) in cui è tollerato aprire squarci nel tessuto culturale contemporaneo per vederci da fuori. Lì appariamo ottusi e ridiamo di noi stessi, della nostra stessa ottusità: lì risiede la sfera del comico, come un'idea platonica nel suo ambiente ideale. Un comico che ride della stessa persona da cui nasce, forse per renderlo capace di accorgersi dei suoi errori più stupidi, come quello di presumersi esseri logici e infallibili.

Pigrizia urbana

C'è chi per democrazia
Intende il diritto
di dormire in casa
Senza rumori
Fatti per strada

Stanchi dormite
Tacete i rancori
spegnete le luci
la vita sta fuori.

Carnevale

Travestiti da persone perbene
fanno la ronda intorno al paese
portando un carro di roba avariata
Gridano e cantano strane parole
insultano e bevono come cani
si fanno scherzi stupidi pesanti
Un grottesco carnevale
irrompe nella vita reale. E pare normale.

Attenzione

Dovremmo perfezionare linguaggio e comunicazione
per farci parlare anche con cose, atomi e raggi
ad esempio parlare come loro, senza dirci una parola
ascoltare il tempo che batte sopra i timpani e che bagna
le tempie, sfiora la cornea e la fa lacrimare. Col tempo,
con lui vorrei parlare, e dirgli ridendo che lo spazio è un puntino
che io lo sento quando passa vicino, che il modo migliore
per creare ricordi è quello di vivere facendo attenzione.
L'occidentale che prende un oggetto è stanco è pigro
lo usa, rovina, lo rompe e dimentica invece
di ficcarselo in testa. O invece di entrarci,
di domandarsi che cosa ha in comune con lui.
Noi che siam fatti di ore e di anni
venuti dal nulla, nel nulla diretti
riconosceremo un giorno nostri fratelli
gli oggetti gli eventi gli istanti presenti
il Tempo, la Storia, gli atomi, i giorni
che a ben guardarli somigliano a noi.

Altra sera

Mi chiedono efficiente
non fare cazzate
e prendersi il meglio di me

Ma non c'è nessuno
disposto a sentire
perché resto solo

Ecco la sera
che cosa aspettavo
dopo un giorno intero?

Solo i rumori mi date
delle ruote e dei motori
che di certo non si fermano.

Ma se mi ostino
domani a quest'ora
avrò espresso il groppo che serbo.




Io che aspetto
ma solo rumori
arrivano, e già un'altra sera.

Domani andrà meglio.

A fior d'acqua

Perché sull'acqua
Non si cammina,
Si affonda?

E pure
Sembra un cortile
Da pestare

dove non puoi farci una casa.

Ma perché
La sua vita nascosta
Scorre senza sospetti!

Anche tu, amore,
Per me sei di membrana
Che a me ti cela.

E pare
Ordinata, elegante
Ovunque uguale

E uguale all'altre
Né sfigura,
Appena distingue.

Ma a tuffarsi:
Verrei a conoscere
I segreti sommersi.

Soffrirò per scelta l'apnea.

De pigrizia VII: Lettura di "La galassia dei dementi"

 Gli occidentali "medi", ispirati da volumi di letteratura moderna e positivistica, si proclamano possessori di una Sapienza che fornisce loro una mentalità più avanzata, progredita e perfezionata rispetto alle sapienze di altre culture nonostante siano ignoranti in tutto. Gli occidentali inneggiano la scienza e la tecnologia perché producono meraviglie, cioè anche più delle risposte ai loro bisogni, e regolano le loro esistenze. La loro idea di Scienza è appunto intrisa di magia e superstizione: le credenze che condividono non sono verità scientifiche ma supposizioni di una pseudo scienza, incoerenti e spesso stupide. Si vive sempre più nelle città, che vengono costruite e mantenute appositamente per far sopravvivere il meccanismo che le tiene in piedi, perciò anche la morale e la cultura in generale si abituano alla vita controllata dall'economia del mondo globalizzato; si sta comodi stando a certi patti, ma si dimentica e si ignora tutto ciò che dalla città è fuori, oltre a tutto ciò che c'era prima. L'umanità si preclude delle strade per il futuro, orientandosi sempre più verso una condotta, una possibilità, ed escludendo le infinite altre. Si esalta il presente e il vicino, e si ignora la Storia e il lontano: ognuno esalta se stesso vanamente, pensa di farcela da solo o di essere migliore e più dotato degli altri. Tutti la pensano così, di essere autosufficienti, e questo va bene perché ormai possiamo dire sdoganato e accettato da tutti l'individualismo dilagante. Siamo in Occidente, siamo seri, scientifici e tecnologici, non abbiamo tempo da perdere per gli altri. Se l'economia, la politica, la scienza e la tecnologia (la Ragione) regolano la mia vita allora ci pensano loro stesse a farlo anche agli altri. E così ognuno si sente dispensato di fare qualcosa di buono, utile... di fare qualcosa. Dipendiamo dal sistema e ogni iniziativa viene scoraggiata da una parte o dall'altra, cioè o dalla Società o dalla politica e dalle leggi, a meno che non sia molto moderatamente personalistica: cioè sono tollerati soltanto i servizi per acquirenti-consumatori-turisti, che non turbino troppo il meccanismo del sistema.

In questo sistema possiamo dire esserci ancora un angolo, disprezzato, di sottocultura (purtroppo!) in cui è tollerato aprire squarci nel tessuto culturale contemporaneo per vederci da fuori. Lì appariamo ottusi e ridiamo di noi stessi, della nostra stessa ottusità: lì risiede la sfera del comico, come un'idea platonica nel suo ambiente ideale. Un comico che ride della stessa persona da cui nasce, forse per renderlo capace di accorgersi dei suoi errori più stupidi, come quello di presumersi esseri logici e infallibili.
Lì si può concepire quanto comica sia quella versione storpiata, ignorante e "popolare" del pensiero razionale scientifico. Lì ci si può fare un'idea di cos'è e di quale problema rappresenti la presenza di una brutta copia di Cultura, di una sua versione vaga e storpiata che non fa altro che rendere più cocciuti i chiusi di mente. L'antichissimo genere della Satira menippea adattato ai giorni nostri produce squisiti testi che rovesciano l'abituale presunzione di onnipotenza e di abilità degli occidentali moderni, e non è impensabile far rientrare tra questi testi anche romanzi italiani relativamente recenti come Pinocchio di Collodi, il Pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, Il pataffio di Malerba, il Viaggio di G.Mastorna di Federico Fellini, Cani dell'inferno di Benati e La galassia dei dementi di Ermanno Cavazzoni. I loro personaggi non riescono ad elaborare un sistema cognitivo capace di spiegare razionalmente gli eventi (inusuali o al limite dell'esperienza umana), e perciò subiscono il loro presentarsi come fanno anche i bambini alle prime prese con una nuova esperienza, ancora da apprendere per potere, in una sua futura ripresentazione, reagire più efficacemente.
Come in uno zoo
parole pappagallo
nella serra tropicale
allora grandi banani
fanno ombra sul sentiero
le pietre terra rossa
frutti arancioni
forse è un bosco
in un quadro barocco
con dentro

forse le case
per farci le favole
o quelle strade
di faggi altissimi
vedute nei sogni
sulle montagne.

Forse una
deserta foresta.

Dove nei secoli
si son visti passare
in ordine
un paesano
un soldato
un imperatore
un monaco
un re
un cacciatore
un cavaliere
un mago
un turco
un bambino
un appestato
un esploratore
un avventuriero
un servo
un signore
un vescovo
un santo
una ragazza
un gruppo
dei briganti
partigiani
un professore
un ciclista
un turista
un boy scout.


De pigrizia VI/bis

È comica la situazione ontologica in cui l'Uomo si ritrova a vivere: l'individuo isolato si scopre vuoto e privo di senso e giudica tutti gli altri individui degli illusi, mentre, per dare un senso alla Vita deve pensare esattamente l'opposto: sottovalutare sé, e saper ascoltare per imparare dagli altri e anche dalle loro illusioni.

I gruppi di persone fanno cultura, gli individui isolati la oltraggiano.

Quando uno crede di poter fare tutto da sé senza affidarsi a chi è competente e può aiutarlo, o senza prima informarsi e studiare sufficientemente, ad esempio traendo veloci informazioni sommarie da internet, assume il pregiudizio di sapere l'unica Verità a dispetto delle altre versioni possibili: esclude infinite possibilità e un vero bagaglio di conoscenze. Può essere facilmente manipolato verso condotte illogiche, pericolose o inutili.

Se diversi individui organizzati oltraggiano la Cultura, non si stanno accorgendo di fare cultura come sempre da tutti i gruppi di persone è stato fatto. La loro sarebbe dunque una cultura tanto valida quanto anche tutte le altre.

Se diversi individui convivono senza organizzarsi, disordinatamente, serpeggia la sfiducia o l'indifferenza e non può esserci Cultura né Società.

Se un popolo è di individualisti, pretende di imporre a tutti i suoi stessi metodi, sbraita contro ogni particolare di diversità, e invece di farne tesoro per imparare, urla contro le occasioni di Cultura e rimane pigro e stupido.

Le foto

Le foto
col tempo
annoiano meno

E il tempo
importa
solo dopo un po'.

Ed il tic

Non riesce
a distinguersi
immediatamente

Pare
uguale
ad ogni altro tac.

Il presente
scontato
passa ignorato
ma quando
è passato
ci appassionerà.

La favola dei pesci

Quando al mare quegli uccelli
guardano e cantano stornelli
al mare scuro che ci bagna
Solo i peli della barba
Non è il caldo che arriva
Forse piove sulla riva
E a noi non è dato modo di guardare
Hai occhi solo per chi prende il sole
E non ci pensi a chi affonda
Perché l'acqua è anche profonda
Ecco tu vedi soltanto
Un foglio bidimensionale.

Se ti tuffi rivolti il mondo
tocchi il fondo degli abissi
Quello è un mondo solo per pesci
che solo a viverci un po' poi lo capisci.
Va' dai pesci, ti vogliono parlare
Ma dentro l'acqua non si spargono le voci
E ogni volta che provavano
a chiamarti sul bagnasciuga
L'acqua riempiva i loro polmoni
solo per chiederti una mano.

Quante voci giù nel mare
che ti vogliono raggiungere
ma non riescono a passare
oltre la sua superficie.
E tutto pare uguale.

Forse mi tuffo nei buchi

Forse mi tuffo
Nel mare dei buchi
Per uscire da me
E trovarmi disperso
Per moltiplicarmi
Perché è dura
Una volta tuffati
Trovare quel buco
Da dove si parte.
Bisognerebbe
Vincere il timore
Di perdere la mente
In altri corpi
Fuori di sé
Ed entrare più spesso
In corpi
Di sconosciuti.
E se scivoli da te
A terra
Non ti fai male
Sbattendo la schiena
Ma entri nei buchi
E lì galleggi
Con tutti gli altri
Che si sono perduti.


La vita così è una casa sperduta
nella foresta dimenticata
perché a nessuno interessa
e anche se gridassi come un pazzo
qui a nessuno può fregare un cazzo.
E allora vivete convinti di voi
che essere soli vi renda esemplari
sempre voi stessi nella vostra foresta
dove nessuno, come anche voi,
un piede neanche metterebbe mai.

Testo di una canzone italiana

Doveva esserci un castello nella foresta
Tutto sfatto di cavilli dell'età
Se non hai fatto male dentro resta
Non vedrà mai una città

Che poi le stelle e tutte le sirene
Sapranno ricordare chi gli da
Una mano per dormire bene
Un letto che le scaldi
Quando il mare è verde
E non c'è traccia di meduse

Che poi le stelle e le sirene
Dovessero avere occhi
Non hanno bocca né parola
Per zittire il nostro rumore

È vero che in montagna senti voci
Di grilli e animali
E dei sogni che faranno
Ma non rispondi e soffri
E così dormi stanotte

Ogni volta che li vedi
Quei disegni di bambino
Da un giorno cade un'ora che non c'è

Oppure con le mani di carbone
Mi accarezzi e torni a letto

Ora qui davanti a me.

Inutilità del verbo essere

'Nulla' è sempre la parola più strana del dizionario di qualsiasi lingua.
Il suo referente è qualcosa di tanto basilare e onnipresente per ogni parlante e individuo, che si tratta di uno dei principi fondamentali della nostra comprensione dell'Universo.
Il significato della parola Nulla si riferisce a una nostra concezione o pensiero, e non a qualcosa di realmente esistente nell'ambiente.
'Nulla' è tanto basilare per il nostro pensiero tanto quanto la parola 'essere'. Si pensi solo che la proposizione di base di qualsiasi lingua è quella copulativa, con cui si afferma che qualcosa è qualcosa o che presenta certi parametri: insomma il verbo essere significa qualcosa di così tanto scontato e ovvio per tutti, anche i più duri di comprendonio, che non ci sarebbe neanche bisogno di dire è. Eppure lo diciamo, proprio perché si tratta di una specie di nostra strategia mentale per pensare e dire le cose. Cose fessissime in genere, come "Questo è vero" o "quello non è vero". A che ci serve dire che cosa è e che cosa non è, se il concetto è così alla portata di tutti? Se qualcosa è (ad esempio, vero) allora dovrebbero saperlo tutti senza il bisogno che qualcuno glielo dicesse. Usare il verbo essere parlando di sé stessi alla prima persona, invece, annoia l'interlocutore, che sa già di stare ad ascoltare qualcosa che gli sta davanti e perciò, purtroppo, in piena chiarezza ed evidenza è, e l'interlocutore comincia a spazientirsi a sentire il parlante ripetere "Io sono, io sono, io sono", perché durante quel discorso probabilmente l'ascoltatore preferirebbe che quello lì non fosse parlante, o che non fosse proprio.
Le cose sono diverse in certi altri ambiti, come ad esempio quello dell'Astronomia.
Infatti se in una sera d'estate in cima a una collina pugliese solcata dai pini e dalla macchia mediterranea presenti in gravina, delle persone si ritrovano a guardare il cielo, può capitare che qualcuno dica con un sorriso stupito, così all'improvviso nel bel mezzo del silenzio fatto di canti di grilli e cicale, «C'è una stella», spiazzando completamente tutti gli altri insieme a lui, se succede questo, dicevo, gli altri potrebbero spaventarsi molto, gridare, scappare o rimanere paralizzati dal terrore rischiando numerosi e continui attacchi cardiaci o collassi. C'è chi potrebbe gettarsi dal bordo della gravina, giù nel dirupo per poter sperare di fuggire da quella visione da incubo. Le stesse persone che non si smuoverebbero di un centimetro se gli avessero detto «c'è un mostro» perché non ci avrebbero creduto, sentendo qualcuno che fissa sdraiato il cielo dire «c'è una stella», se fossero davvero coerenti dovrebbero schiattare di paura. Questo perché la luce delle stelle in realtà è partita anni fa e non sappiamo se ciò che vediamo è ancora presente. «C'è una stella» in questo caso significherebbe «c'è un fantasma», «c'è qualcosa che si vede ma probabilmente non esiste», così che gli altri intorno potrebbero mettersi a ridere per certe inopportune osservazioni.

Consiglierei dunque di sostituire qualunque voce del verbo essere con una specie di grugnito nasale mentre si puntano gli occhi insù come per dire «eh sì, ancora quel verbo inutile lì» e di evitare certi argomenti quando sono superflui.

Niente

Il tramonto è rosso rame
nelle nuvole di fabbrica
quando il vento è tramontana
e domani già t'immagini che colori appariranno.
Ma la luna è una falce che specchia
gli abbai dei cani e i rumori
di porte dei terrazzi
e motori.
Faremo un giro a piedi
nei viali elettrici o a led
per cacciare il buio e le occasioni
perdute che bussano insistenti.
Le case in calce e i vasi di piante
sopportano le nuove feste di paese
con musica tedesca dai fashion bar
birre al limone, risvolti alla caviglia,
bibite odiose succhiate in cannuccia
piccoli furbi roditori e ancora
i soliti vecchi discorsi paesani
un po' fantasiosi, ma vituperanti
fitti d'invidia, di noia, di offesa
per una giornata tuttavia deludente
uguale alle altre
ed una sera in cui si spera
che domani non cada grandine sull'uva e sull'arance.

A fare la plastica

Cozze guittose e facce d'argento
tutte nel centro
a fare la plastica,
che inquina i mari
del buonsenso
se passa un orco ci inciampa dentro.

Il diseducato II

Là fuori la massa in disordine
e forza le porte d'ingresso
entreranno dappertutto
deprederanno le stanze.

Ovunque ti nasconda
ti verranno a cercare
ti linceranno vivo
ti toglieranno tutto.

Sotto le travi del pavimento
ti ritrovi a stare zitto
purché non ti sentano
e loro sopra a ispezionare.

È il frutto delle scuole
e della rabbia
scatenata dai mass media
e da scrittori mafiosi.

Che ne faremo di tutti i milioni
di italiani educati al perbenismo
all'orgoglio vacuo nazionale
al rispetto dei bigotti?

A che servono questi ignoranti
frenati nella loro ignoranza
che san fare le divisioni
ma non i diritti fondamentali?

Schiavi dell'eletto, del neo-faraone
applaudite alle sue offese ridicole
sprecate vita, risorse, figli
contenti delle speculazioni e dei fondi illeciti.


Fiducia nella forza distruttiva del Sole

Dopo aver passato un quarto d'ora su facebook, in questi giorni in cui si usa commentare le ultime notizie dell'arrivo di migranti, ho iniziato a trovare consolante e rassicurante il fatto che un giorno la terra verrà bruciata, distrutta, disintegrata e dissolta nella vastità del cielo dalle fiamme del sole, quando questo si trasformerà in una gigante rossa, per poi collassare in una insignificante nana bianca ai margini della galassia. È così dolce, in questi giorni, il pensiero che l'umanità si estinguerà e che di lei non rimarrà neanche il ricordo, tanto da sperare che la Vita non rinasca mai più in tutta l'infinità dell'Universo. Forse una giustizia esiste al di là di tutto.

Schiaffo al Mascellone mussolini

Ci ho pensato, e secondo me il periodo più bello per vivere è stato quello agli inizi degli anni '40 del Novecento. Nei libri di storia leggete che c'è stata la seconda guerra mondiale, che è stata brutta, ma non dicono mica proprio tutto.
Negli anni '40 l'estate era fresca, il latte buono, i fichi crescevano sugli alberi e i prati sotto. L'epoca della seconda guerra  mondiale era incredibilmente più salutare per la metà popolazione mondiale che è sopravvissuta, rispetto ai giorni d'oggi.
No, no, in realtà c'era la cosa più bella mai esistita sulla faccia della Terra. Anzi, si poteva fare qualcosa a una faccia in particolare. Non era una cosa, ma più che altro una possibilità di azione molto molto bella. Un evento possibile bellissimo, il più ambito desiderio, che per noi oggi è ormai irrealizzabile, un tempo era possibile. Ma sconsigliabile. E il motivo è questo.
Ma secondo voi, quale cosa può dare più piacere e soddisfazione a un uomo di affondare la propria mano con uno schiaffo forte e veloce nelle paffute e strabordanti guance di quel mascellone da pesce di Benito Mussolini? E lo so benissimo che nel mondo contemporaneo sono spuntate tante altre facce meritevoli, ma sono tutti innoqui cloni imperfetti di quell'unico becero coionaccio primitivo sempre coi pugni ai fianchi e lo sguardo pichino (da miope) sollevato irascibile e presuntuosetto. Ma che meraviglia sarebbe stato vederlo arrossire di rabbia mentre protesta per aver ricevuto uno schiaffo sul suo grugnaccio? E sbattere i pugni in aria, e calciare le sedie?

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Guardate che faccia di uno che non capisce un cazzo di quello che gli altri stanno dicendo. Il cappellino quasi gli raddoppia il capoccione e le mascelle gli penzolano dal gargarozzo in una pappagorgia abominevole e catarrosa da disegnarci su dei cerchi e giocare a freccette o a tiro a segno.

Immaginate quanti hanno sognato, guardando quell'ammirevole apparato masticatorio, magari di palparlo almeno un pochettino, di tirarglielo quel faccione gommoso grande quanto il vaso del cesso. Anche solo una pacchetta amichevole, un buffettino, un'allisciebbussa, quanto mi piacerebbe, vi prego portatemi indietro o riportatelo in vita, devo farlo a tutti i costi, soprattutto dopo aver studiato quel libro di storia e i ridicoli capitoli su di lui.

Io avrei provato diversi approcci e soluzioni: perpendicolarmente in orizzontale con la mano destra e poi subito sinistra alternate.
In verticale soprattutto dal basso verso l'alto.
In diagonale, sfruttando a pieno tutte le dimensioni.

L'avrei fatto più sicuramente nell'età della sua infanzia, quando però doveva ancora essere relativamente una persona normale ma con la sfortuna di un padre testa di cazzo, perciò mi sarebbe dispiaciuto un po', ma che bella soddisfazione sarebbe stata vederlo piangere accarezzandosi la faccia da ragazzino grasso e stupido. E poi da piccolo non aveva ancora sviluppato l'ampiezza abnorme del suo rispettabile mascellone italico flaccido. Sarebbe stato meglio aspettare che gli crescesse: per questo preferisco l'inizio degli anni '40.
Da adulto faceva ridere perché si incazzava ancora di più e diventava rosso rosso in faccia urlando "Chi è stato? Chi è stato?!", e tutti i militari, gerarchi e altri pervertiti dovevano sforzarsi di trattenere le risate e non farsi scoprire quando lui li guardava. E se si accaniva contro di uno, ecco che subito un altro da dietro pam! gliene mollava uno senza farsi vedere, e lui si girava per capire chi fosse stato e da dietro subito un altro pam! pam! pam! Ma sono scherzi creati da loro stessi in quell'epoca...

Da notare che poco prima di seppellirlo, erano quasi tutti convinti di averlo sistemato a testa in su a piazzale Loreto, perciò anche se passavi in quel momento a tirargliene uno di soddisfazione, difficilmente ti saresti accorto che era stato erroneamente posizionato a testa in giù. Molti andarono via da piazzale Loreto gioiosi e soddisfatti, convinti di aver affondato i loro sonori schiaffi in quell'impasto da focaccia, mentre invece si trattava del suo romagnolo culo, in tutto simile a una porchetta d'Ariccia, perciò perfettamente confondibile.

La sua testa percossa da palmi di mano messi a coppetta era parimenti ambita da molta gente, ma quel rumore era sicuramente troppo poco profondo, la testaccia ossuta troppo dura e pesante, forse ci si sarebbe potuti anche far male alla mano. Insomma non doveva essere poi così invitante, ma la sua grande estensione doveva certamente fare gola non solo al popolo, ma anche a quei poveri diplomatici degli altri stati che erano costretti ad avere a che fare con lui - loro che avevano lavori seri da fare, sprecati con quel bambino di 3 anni in un corpo da flaccido cinquantenne psicopatico - e poi a bambini, ragazzini, donne, anziani, uomini, preti, militari, ufficiali, amministrazioni, funzionari statali.

Il diseducato

Eccolo qui il diseducato
prodotto della vostra tradizione
con un bagaglio di sapere
da coscienza relativista,
e niente sbocchi per sfruttarlo
niente orecchie ad ascoltarlo
niente occhi niente tempo
niente, niente. Niente. Soltanto fastidio
riesce a destare se gli si porge
l'attenzione come se fosse spreco
eccolo il frutto di discorsi millenari
ormai fuori moda, da intellettuali
in sottigliezze di fini eruditi
senza colori fosforescenti
consumati dai pesci che siete,
da chiacchiere inutili su ciò che han comprato
i vostri parenti per la prossima cerimonia,
sui progetti di villeggiatura
nei luoghi di lusso scelti
anche da politici e attori.
Non ha appreso a mettere in pratica
un bel niente, né ad adattarsi all'ambiente
ha perso del tempo
studiando i classici rinascimentali.
Colpa dei maestri caporali,
dei pregiudizi della famiglia
maturati dall'infanzia
nei confronti degli altri.
Colpa di chi orienta la vita
a telenovela da canale regionale
e mette bocca
sempre a parlare di ciò che non sa
a emettere sentenze dicendo cose
senza sentire, leggere, imparare.
Troppo istruito, è diseducato
ed in quanto tale, diseducativo.

De pigrizia VI: oggetti di una sana pigrizia e creatività

Verso quali eventi o oggetti si deve rivolgere una sana pigrizia?
Verso la cura esteriore del corpo ad esempio, specie quando così si vuole nascondere la coscienza di non essere intraprendenti, intelligenti, di non avere qualità. O verso la speculare salvaguardia della propria bugiarda fama. È pigro chi pensa di essere nato con delle qualità, e non fa nulla per acquisirle o esercitarle. Lo fa soltanto chi si ispira alla merce da discount: incarti accattivanti ma qualità finale effettiva molto scarsa; colpisce l'attenzione all'inizio ma si rivela come sempre una fregatura deludente.
Gente e merce così sono per tutti gli altri degli sprechi di attenzione, di energia psichica che si potrebbe rivolgere verso qualcosa di utile e invece è costretta a rimanere ferma intorno alla superficie delle cose visibili, vanamente. La pigrizia lavora a favore dell'esteriorità, non dello sforzo del pensiero, essendo più appetibile perché reputata ingenuamente capace di fornire risultati immediati, come la soddisfazione personale narcisistica verso l'aspetto del proprio corpo. Ancora viene insegnato nelle università a farsi idee soltanto guardando l'aspetto di una persona. È una delle basi attraverso cui una azienda sa riconoscere il proprio target: ognuno conosce il suo pollo per spennarlo e spolparselo.
La pigrizia è da rivolgere verso di sé, verso l'epica che avvolge le narrazioni di ognuno su se stesso, ma è difficile ammettere di essere pollo. Per questo occorre uno sforzo, cioé dirigere la propria pigrizia verso l'affermazione della propria grandezza (immeritata) (verso l'epica).
La pigrizia immeritata o non sana si traduce in soddisfazione personale e momentanea, orgoglio.
La presunzione è un atteggiamento naturale cioè infantile, lo sforzo sano è quello di non esserlo.

Una pigrizia da fuggire è quella verso oggetti e occasioni di vantaggio personale, è utile una pigrizia rivolta verso gli oggetti del desiderio, conoscendone la vanità e mutabilità, cioé la continuità dell'insoddisfazione personale. Immagina se ognuno prendesse parte alle decisioni di pianificazione urbana: se avesse la disponibilità economica, costruirebbe luoghi di divertimento e non di ricerca e studio. Si tende a dividere queste due sfere, quindi a non evolvere, e a rimanere ancorati ai propri preconcetti, a mantenere lo status quo quando si potrebbe studiare per progredire, far scoperte e miglioramenti tanto nella vita concreta quanto nell'etica, nella filosofia e nella mente individuale e nella mentalità sociale, per raggiungere migliori modi di vita e di pensiero.

Dunque è sempre utile creare ciò che non c'è ancora, avendo piena coscienza di ciò che già c'è. Nei momenti di creatività, sogno, fantasia, allucinazione, si esercita un sanissimo disinteresse nei confronti dello stato presente della realtà materiale-concreta e delle occasioni di vantaggio personale. La creatività poggia sul dissenso nei confronti della realtà esistente nello stato di veglia razionale, perciò una sana pigrizia è da rivolgere verso le comodità personali, i vantaggi individuali di tipo economico e gli oggetti dei desideri nati da una razionalità egoistica ed egocentricamente fondata. Verso tutto ciò che tende ad accontentarci e a non farci immaginare altri modi di vita possibili, non per forza più impegnativi o difficili.

Bisogna lavorare non per ottenere miglioramenti nella propria condizione di vita: la vita di un lavoratore non cambierà mai, se prima non cambia la sua mentalità, i suoi obiettivi, o se le sue idee rimangono sempre le vecchie stesse. Soltanto in questa maniera una persona può sperare di essere utile, e di non sprecare inutilmente tutto il tempo della sua vita.
Mia nonna ha perso la testa
Odia l'unica figlia
che non l'ha mai lasciata sola
e strappa i fiori, i rami di foglie
che ha piantato suo marito
defunto circa una decina di anni fa.

Come il mio vicino
che ha perso i ricordi
precocemente caduto
in demenza senile
col figlio ventenne che è morto
e la moglie lasciato.
Non si sa perché.

Il cimitero di, forse, Rutigliano

Gli alberi piantati
nella campagna a fianco
al cimitero di, forse, Rutigliano,
sono viti, non del luogo
che succhiano l'anima ai morti
e coperte di veleno insetticida
seguiranno le leggi del mercato
non divine o naturali
perciò son da imbellettare.

Il paradiso, tra l'altro è soggetto
alle modifiche del consorzio umano,
la vita celeste non segue giustizia
ma il meccanismo
di domanda ed offerta.

In televisione vedremo gli spot
di un paradiso rinnovato
al passo coi tempi in grado
di competere
coi nuovi villaggi turistici.

De pigrizia V: modernità, ricchezza e pigrizia

Tutti vogliono vincere alla lotteria e sistemarsi per la vita, nel senso di poter rimanere a vita sul divano senza far niente, parlare scrivendo sui social e attaccando il moralismo di chi esce a fare qualcosa di buono. Il dissenso della critica inizia a dare fastidio anche a coloro i quali non capiscono che il dissenso è una gran risorsa (dunque positiva) per loro: siccome imitano la vecchia classe nobile, i contemporanei popolani dicono che la voce del popolo non va ascoltata ma repressa. Come se avessero sonno ma non riuscissero a dormire per colpa di chi fa qualcosa in strada in piena ora di punta.
 Tutti dovrebbero tendere allo stesso ideale di pigrizia egocentrica ed edonista tanto voluto dal capitalismo, finché non subisce una sfortuna e rimane solo, senza casa e odiato da chiunque, come lui prima, passa la vita sul divano a insultare con sufficienza gli emarginati. Pigrizia significa incapacità di proiettare se stessi in altre condizioni di vita possibili, di progettare il proprio futuro, cercare soltanto il vantaggio immediato, la comodità del divano, per paura di tali possibilità, nonché per la troppa fiducia nello stato attuale delle cose.
Cosa direbbe un antico romano di noi? Che siamo un'umanità degradata e molle, piegata alla schiavitù, senza valori veri né memoria, deboli, grassi, incapaci in ogni cosa e contenti di subire il potere del primo generale straniero che passa, viscidi corrotti in adulazione che hanno svenduto il proprio corpo e ceduto la propria terra per un pezzo di pane o per evitare di combattere.
... la pigrizia è la condizione essenziale dell'individuo comune contemporaneo, in cui tutti nasciamo e da cui non dobbiamo lasciarci tentare, ma fuggire, per sviluppare in maniera sana le nostre capacità mentali...
Più che strettamente del contemporaneo, dell'uomo moderno occidentale in generale; perché il pensiero razionalista che ha segnato l'inizio dell'età moderna persegue il massimo del profitto attraverso il minimo dello sforzo.
Sono massimamente pigri quegli imprenditori che producono merci di scarsissima qualità per arricchirsi velocemente e senza aver dato nessun vero contributo (senza fare niente di troppo complicato), o che semplicemente rivendono ciò che hanno comprato.
La società moderna e contemporanea offre molti spazi in cui esercitare e coltivare la pigrizia, sia individualmente che collettivamente, ma allo stesso tempo è un meccanismo molto pericoloso per gli individui perché può essere facilmente sfruttato dai vari poteri per ottenere i loro scopi turpi (creare/manipolare gruppi sociali e loro tendenze). Perciò la incoraggiano e perseguono, e la fanno passare per diritto meritato o virtù contemporanea.

Si noti però che è un comportamento da inculcare nelle menti altrui; che sfrutta dei meccanismi mentali basilari per l'equilibrio psichico degli individui, ma che non gli appartiene. Deve essere attivata dall'esterno. Infatti è un meccanismo innaturale questo contemporaneo, per il quale anche chi ha poco o niente è incoraggiato ad essere pigro. In uno stato naturale e originario delle cose, la pigrizia apparterrebbe a chi ha molto, al ricco, e non certo a chi non possiede niente. Ma, se lo strato sociale povero imita i modi di fare (comportamenti, gusti, preferenze, discorsi, gesti, ecc...) dello strato ricco, imiterà anche la sua millenaria ripugnanza per lo sforzo fisico (verso le attività fisiche, manuali) e del pensiero. Solo dall'età moderna dunque, la pigrizia può essere considerata un valore positivo anche dallo strato sociale povero, perché da quell'epoca esso imita (invece che deridere) i modi di fare eccentrici, stravaganti ed edonisti della classe nobile dei padroni.

Il costume contemporaneo

Fa ribrezzo che miliardi di individui
acquistino lo stesso vestiario
adesso che possono scegliere
e non servirsi dei residui.
Basta indossare pantaloni 
di ruvido denim vissuto
per provare la follia del gruppo
far selezioni, giudicare.
O per urlare istericamente
lo stesso coro all'unanimità.

È certo un pericolo che dietro una felpa
uguale a quella nei nostri armadi
si nascondano gli infami iracondi
a seminare odio, a vituperare.
Usano simboli d'unione
per farsi qualche sostenitore
fingendo di essere persone comuni
come ha fatto per anni Salvini.
Come i soldati che per infiltrarsi
rubano divise dai morti nemici.

Chi da noi s'è travestito
ostenta abiti e abitudini
che non è vero gli appartengono.
S'è soltanto accostumato.

Il premio

Mi hanno telefonato
tramite la segretaria
che ha detto "lieti"
sarebbero di avermi
alla serata di gala
e sono candidato
a ricevere il premio
"Che premio?" 
"Il premio che attesta
che lei è speciale e grazie
a cui ognuno riconoscerà
i suoi meriti, saprà il suo nome,
che cosa fa e il suo passato".
Come un'entrata alla schiera dei santi
che la gente venera.
"Grazie davvero" e ho riattaccato.

Al premio la gente davvero
a battere sempre le mani
per colpa del successo
retorico delle parole toccanti
dei presentatori
che leggono bugie spaventose
ma commoventi che mamma mia santa
le sento e si stringe la gola
quand'ecco che fanno il mio nome
e dicono che sono un brav'uomo
impeccabile e senza difetti
il geniale innovatore
il brillante scienziato
eccellente economista.
Quello lì non sono io!
Non ho mai fatto tutto questo.
Mi alzai per dirlo a tutti
E il presentatore imbarazzato
Il pubblico vocia, uno
anziano con un gesto della mano
intende che non è poi rilevante
e che posso anche barare.
Poi dicono che sono il vincitore
e la gente sempre a battere le mani
Commossa
a ripetersi il mio nome
e i miei meriti 
e a fare grandi accenni
di consenso
con la testa, con le bocche
a guardarmi, a baciarmi
a regalarmi fiori,
una targa che lo attesta,
questo premio è proprio il mio.
"Non accetto. Questo qui non sono io. Questo premio è una carnevalata per fare battere le mani, sancendo per chi. Se tutta la schiera di santi è premiata in questo modo, sono bugiardi, persone senza meriti come me, allora è tutto una carnevalata inventata chissà da quale autore frettoloso per soddisfare le attese del pubblico senza troppi scavi in profondità".

De pigrizia IV: le origini

Pigrizia non equivale a non svolgere attività, non avere abitudini, ma è il non cambiarle.
La pigrizia è involontaria [...] Viene da un eccesso di comodità, di stasi prolungata, di assenza di legami e relazioni che ci costringerebbero ad "abbassarci" spesso agli altri. [...] possiamo esercitarci in qualche modo a reagire? La risposta non sarebbe scontata come "Basterebbe iniziare a fare qualcosa", se per "pigrizia" intendiamo uno stato mentale simile alla noia. La pigrizia è mancanza di critica, accettazione passiva di tutto ciò che siamo abituati ad avere; assunzione meccanica di schemi di pensiero, di azione, di consumo, di interpretazione della realtà... È credersi individui unici nonostante l'evidente omologazione totalmente accettata.
 Una macchina è pigra se svolge sempre lo stesso ruolo. È anche stupida se non riesce ad adattarsi alle richieste di colui che la usa. Il pigro è una macchina stupida che non cambia mai il meccanismo e non si adatta al presente.
A volte, senza volerlo, ci sentiamo già formati definitivamente, e difendiamo o giustifichiamo ogni nostro modo di fare, invece che reputarlo ridicolo: il pigro non si accorge di essere ridicolo, ottuso dalla sua inerzia.
È cioè l'atteggiamento contrario al cercare informazioni, notizie, ricerche, studi, è arroccarsi nelle proprie presunzioni, nei propri calcoli, accettare tutto così come ci dice l'intuizione soggettiva, su cui il pigro fa tutto il suo affidamento, nonostante sia prevedibile che a lui risulti sempre un'intuizione sbagliata.
Bisogna rivolgersi sempre a un esperto. Un esperto che non si permetta di nascondere nozioni o soluzioni solo perché non conformi al suo personale gusto, non servono obiettori di coscienza. Già noi ci tappiamo le orecchie e gli occhi davanti a tutto ciò che non reputiamo degno di noi (che poi in realtà siamo ben poco) e un esperto ci serve proprio a stimolarci là dove noi non vogliamo, per pigrizia e non per altro, o si può dire anche per presunzione.
E invece la cronaca ci insegna come i danni siano successi proprio perché non è stato interpellato l'esperto giusto, quello che si sacrifica per gli altri accettando di passare anni a studiare intuizioni altrui, più prestigiose e complete.
Adesso a ognuno piace aprir bocca e dare giudizi: anche il pubblico non si sente chiamato a imparare, ma a esprimere giudizi conformi al buon gusto. Cioè ognuno difende il modello comune, scontato, fa finta di essere un esperto, uno che sa, in quanto insulta gli individui non conformi al modello, le minoranze, i casi difficili e meno armoniosi, come vecchi pigri che guardano la tv.
Il pubblico, da consumatore da soddisfare e divertire, gioca a fare il critico o il gestore di canali televisivi (confondendo infatti questi due ruoli), sta sempre attento a insultare i lati meno usuali degli altri individui (la voce, la postura), e finge di essere conforme all'ideale di persona condiviso dall'opinione comune, che trae da televisione e persone della cerchia ristretta con cui viene a contatto. Con pigrizia accetta il modello ideale di perfezione (dell'uomo razionale, normale, "coi piedi per terra"), e lo sforzo sarebbe la ricerca critica di altri modelli di umanità, la messa in discussione di quelli propagandati.
La pigrizia viene perciò spesso confusa con un vantaggio personale, e presa per una specie di comodità inspiegabilmente meritata. Come se a doversi sforzare o lavorare fossero gli altri e non se stessi, perché si preferisce stare fuori dai meccanismi sociali e del mondo in generale. È infatti collegata al meccanismo mentale e istintivo che ci spinge a risparmiare l'energia fisica e psichica (a pensare) per incanalarla verso l'oggetto della nostra attenzione e, quindi, per evitare sprechi. Il pigro, a differenza di una persona normale e ben sviluppata, assume dagli altri che gli stanno intorno (ma più che altro dai mass media, mezzi di omologazione) gli oggetti verso cui rivolgere la sua attenzione. Per questo la pigrizia è la condizione essenziale dell'individuo comune contemporaneo, in cui tutti nasciamo e da cui non dobbiamo lasciarci tentare, ma fuggire, per sviluppare in maniera sana le nostre capacità mentali.

Ecco come apparivi

Ecco come apparivi
milioni di anni fa
mio dolce amore.
Eri una mattina di sole
azzurra e tiepida
su un sentiero di collina
illuminato
con il vento calmo che portava
suoni di zoccoli che pestano
chilometri di terra rossastra
d'animali in branchi
che s'arrestano e scrutano
con gli occhi nerissimi
l'arcata lontana del cielo:
forse ti avevano sentita
mia luce che ride
come ti sento adesso io
che ti vedo giocare.
Presto scappa
non farti notare,
hai lasciato già
tue tracce di odore
fra l'erba e sui fiori
e non è regolare
lasciarsi vedere
milioni d'anni
prima di nascere.

Mostri, fantasmi e bidello galattico

Nel quartiere senza luci
una notte di maggio
che si siede alla finestra
e guarda:
piovono i muri senza
seconda mano di vernice
e in un inno alla mia stanza
s'apre il vortice di tempo
o note morbide colorate
di una sensazione
che devo avere avuto
al momento della nascita,
strana come il riflesso
di luce dell'origine
sparso ancora nell'universo.
E poi io che parlo
con timore con rispetto
ai miei mostri, o ai
davvero - fantasmi.
È il tempo in cui mi prendono a calci in bocca
e li combatto, li strappo
oppure li alzo coi bracci
e ci faccio l'amore:
sono i sogni che ora
ho a letto e scrivo.
È la notte
che il cielo è scritto da uno scolaro
e distratto durante il dettato
del maestro
fa sul banco i disegnini
prende appunti
su scontrini e fazzoletti
su incarti di gomme da masticare
e li butta nel cestino.
C'è un bidello galattico che raccoglie
i foglietti manoscritti
e riempie il mio cielo che
insolito irrompe
nella stanza dei rumori
in sembianza silenziosa
dove io ogni notte mi perdo.

Pellegrinaggi contemporanei


Giove Possente autore
alla domestica reggia all'Olimpo
infila le dita nei guanti arancione
e dispone la macchia di detersivo
che emette un ruggito di zebra
spremendo il contenitore plastificato
di marchio "Svelto" vivace e cerchiato.
Spia con un ghigno quei semidei
oltre le tende alle finestre
versare quel gel in lavastoviglie
così tracotanti che un giorno di questi
gli staccherà la corrente saettando.
Giove superno, legittimo abitante
non in affitto, nella cucina
strizza la spugna sagomata
sgocciola acqua e bollicine
e, con la schiuma ben montata,
strofina e stride sui piatti detersi.

A te ogni due mesi
temendo d'incorrere
in una punizione furiosa,
prima che scada,
dannandomi i giorni,
sacrifico - o do in dono -
l'importo richiesto
nel "totale bolletta"
per ricambiare il servizio
di erogazione corrente elettrica nazionale
attraverso cui nel microcosmo
del mio cucinino senza soggiorno
né finestra con vista,
anche a me concedi l'uso
di fornetti, lavatrici e aspiratori.

Giove, che fare
se un giorno di questi
apro il frigo trovandolo vuoto?
Mandami un buono
Mandami un buono.
Un buono pasto da spendere
di 25 o di 30 euro
nei tuoi ristoranti
o nei tuoi supermercati,
per lo meno nei punti vendita
aderenti all'iniziativa.

Da terre lontane
mi son messo in cammino
per venirti ad adorare,
Giove l'anziano non devi pensare
che a noi provinciali non siano arrivate
voci che tramandino la tua fama,
guarda dove sono arrivato
soltanto per inchinarmi
davanti al tuo altare:
la santissima corsia
della cassa numero nove.

Giove, prenditi cura di noi
sottomessi alle tue leggi
giuste non giuste a noi poco importa.
I tuoi clienti fidelizzati.

Gloria nell'alto dei cieli!
Evento mirabile degno di fama
illustre, che mai non muoia
ma accresca nei secoli dei secoli
e così pure sia!
Giove, da oggi in poi tu sai
a quanto sia giunta
la mia venerazione,
ho richiesto in cassa
la card magnetizzata
per la tua raccolta punti.

Ripotenziamento della Letteratura degradata nel corso dei secoli

La Letteratura è stata degradata nel corso dei secoli, si può dire che oggi sopravviva una sua forma più ridotta dove a predominare è la tendenza didascalico-morale. Perciò il lettore medio cerca uno sforzo minimo di partecipazione: ascolta passivamente le verità mostrategli dalla voce del narratore, riguardo a un argomento di attualità o in una storia ambientata nell'attualità, in un mondo cioè che il lettore già conosce, e quella voce le rende in maniera tanto realistica da farle sembrare vere, tanto da fargli esclamare "quanto è vera questa cosa che c'è scritta!".
Secondo una corrente anti-moderna e anti-contemporanea, proprio "Il realismo – o il neorealismo – è la più grande truffa letteraria di ogni tempo. Un modo di fuggire agli inganni del realismo è quello di allontanarsi nel tempo" (1).
La Letteratura infatti è una forma d'Arte, e non può essere confusa con un "banale" resoconto di una esperienza che ha mostrato una Verità oggettiva e comune. Un buon libro è più di una conversazione piacevole e ammaestrante, più di una lezione scolastica. C'è più di una fotografia, anche nelle descrizioni dello spazio, o delle cose e persone in esso immerse.
Essa non può mostrare conclusioni o dimostrare verità oggettive o noumeni. La Letteratura deve invece ricreare le condizioni del pensare, così come esse si presentano nella vita quotidiana. Nei casi migliori riesce a scalfire e abbattere il pensiero o le convinzioni di un individuo, non ad esaltarle o compiacerlo come preferiscono i lettori occidentali. Una buona Letteratura fa uscire l'individuo fuori dai suoi panni e gliene fa indossare di nuovi, lo sgomenta rendendolo consapevole dei suoi limiti e, contemporaneamente, dell'arbitrarietà di tali limiti, della loro per così dire fortuità.
L'unica esperienza del mondo che un uomo può fare e ricordare, dunque l'unica che per lui abbia valore, è l'esperienza del lavorìo della sua mente, e mai dei fenomeni in se stessi, mai di una verità oggettiva. Il problema è che il corpo umano funziona così e non altrimenti, i suoi sistemi cognitivi sono anche sintesi, riduzioni, copie "virtuali" della realtà esterna. Ecco, le copie della realtà. Mai la realtà autentica è l'oggetto dei nostri pensieri, ma la nostra costruzione ("artificiale") del mondo e della realtà; e solo essa la nostra coscienza può tentare di conoscere, solo alla copia ci possiamo rivolgere per capire qualcosa del mondo. Mondo che perciò non vediamo mai, ma che in realtà costruiamo noi continuamente, e verrà meno una volta scomparso l'individuo che lo costruisce dalla faccia della Terra; tanto che in futuro tutte le altre persone potrebbero addirittura negare la possibilità che un mondo e una realtà, che per uno di noi oggi è la Verità, siano esistite per davvero. Come in un film, la pellicola impressionata va in avanti, e tutto ciò che prima vedevamo scompare dallo schermo, mentre arrivano nuove immagini in movimento e scene, sempre in arrivo. Seguendo questa metafora, ognuno è chiuso in una sala diversa di un cinema, ed è l'unico spettatore di quel film, che verrà distrutto alla sua fine. Inoltre non può uscire dalla sala, solo poche volte si chiede cosa succede fuori, perché è talmente immerso nella proiezione di quel film, che raramente distoglie i suoi pensieri.

(1) Luigi Malerba, Parole al vento, 2018, p. 241.

Possiedi banconote?

Possiedi banconote?
Vuoi che diventino merda?
Invia le tue banconote al numero di carta che ti fornirò privatamente e io te le rispedirò (a tuo carico) sottoforma di vera merda*.

*La merda può essere di produzione non umana, a seconda della disponibilità.

Penitenza al monaco che verrà (e per un nuovo Rinascimento dal medioevo postmoderno)

Al monaco cui verrà sottoposta
come penitenza la lettura
di un mio verso, per dovere
e non per profanare scrivo
queste parole, tu sta' a sentire:
culo rotto, merda, fica e altre
cose che mettano in imbarazzo
tutti, non solo voi, non solo me,
entrambi costretti a un esame
problematico di coscienza
con lo strato di realtà
e non menzogna
che si schianta contro il sistema sensoriale
sputato poi fuori da un volto espressivo.
Questo è reale, che penetra
forse anche godendo
le menti e i corpi interi.
Ogni cosa, basta che sia tu sincero
caro monaco non devi far finta come non
deve ogni cosa o uomo esistente.
Che inutile vergogna il dirvi
quali sogni la notte
m'imbrattano le mutande
ma questo dirvi è un esercizio
per amare davvero il mondo e il presente.
Gli uomini in avanti
torneranno a non sottovalutare
le voci dileguate
in strada, tra case
riposte dentro
ai loro ed altrui corpi.

Argento

Se ogni giorno avesse un suono
io vorrei che fossero
tintinni di argento
delicati, come al mattino che il sangue
mescola, e di una carezza fresca
notturna.
Vi si insinua un gatto nascosto
e bianco e arancione, guarda fuori
un po' si stira, muove la coda
e ascolta canti
che diresti non ci sono.
Ecco quindi è tutto perfetto
Un mattone perfetto
Una scatola perfetta
Un modello di perfezione
Successo assicurato
Niente sprechi di elaborazione
Lungaggini pericolose
Né slanci d'immaginazione
Nel catalogo tutto ha posto
C'è un repertorio di frasi già fatte
C'è un armadietto di vesti consunte
Una lista di cose da fare
Manuali d'istruzioni accettati
Con refusi scusabili per fretta editoriale
Ma zeppi di errori che mamma mia santa
Eh che ci sono quelle voci testimoni
Di un tempo lungo e lontano
Che non te ne accorgi che stava scorrendo
E tenti sempre di ignorare
Perché leggere un libro è faticoso
È antieconomico e tanto più futile
Quanto lontano è scritto nel tempo
In lingue ora morte perciò ignorabili
Sì ma una voce che viene da fuori
È una fonte di realtà
Artigiana lavorata a fatica
È vera, non più di noi
Né più della nostra ma pari
Perciò vera
Perciò insieme falsa
Di quando non c'erano le cerimonie
Dietro le quali avide e nascoste
Le coscienze dimesse
Delle persone.

Cosa dice la letteratura

Come disse il primo uomo
Guarda qui che c'è di nuovo
Come disse anche Omero
Questo qui è il mondo intero
Come forse disse Socrate
Io non voglio fa' il burocrate
Come disse Aristotile
Forse il riso è anche utile
Come disse Giulio Cesare
Non venirmi a fare prediche
Come disse Gesù a Mefisto
Non bestemmiare, e Cristo!
Come disse Dante Alighieri
Non mi alzo oggi, l'ho fatto ieri
Come disse il Boccaccio
Se mi metto non ce la faccio
Come disse a lui Petrarca
Non pensarci e fai la cacca
Come disse il Burchiello
Ingrasso peggio di un vitello
Come disse l'Aretino
su coraggio e fai il cretino
Come disse Luigi Pulci
Oggi io vi prendo a calci
Come disse il Boiardo
Questo uomo è un bastardo
Come disse l'Ariosto
Questo è proprio un bel posto
Come a lui disse il Bembo
Il tuo viso è proprio orrendo
Come disse un giorno il Tasso
ho dormito come un sasso
Come disse il Tassoni
ho dormito come sassoni
Come disse il Marino
allora dormo, ma era mattino
Come disse anche Goldoni
Siete tutti dei coglioni
Come Boiardo disse Leopardi
Siete tutti dei bastardi
Citando Ariosto disse Pirandello
Comunque il posto è molto bello
Come disse Montale
Vi mando a fanculo e io vado al mare
Citando Petrarca disse Gadda
Anche quest'oggi ho fatto la cacca
Come disse Pasolini
Nvedi a sti du o tre burini
Come disse il buon Calvino
Manco uno che porta il vino
Come disse Camilleri
EgGgsda duddri e Dante Alighieri
Come dice Cavazzoni
Mamma mia quanti zozzoni

Nullacentrico (Giano bifronte Giano biculo)

Troppo abbiamo perso
sprecando tutto il tempo
nell'attualità
nel leggere i saggi scientifici
la critica contemporanea
ai modi di fare ridicoli
alla magia africana:
"Viviamo in tempi evoluti
Siamo i campioni della realtà..."
Se metti via il sistema di segni
a cui sei abituato
non c'è anno
non c'è centro:
non c'è
un riferimento.
Universo nullacentrico
e noi Giano bifronte
Giano biculo
dobbiamo rifare il caos
mischiare i libri in soffitta
spargere polvere dalla paletta
disfare letti muri tetti
dormire al cielo, sognare
mangiare e far sesso da porci
migrare fino a perderci.

Forse un giorno chiudendo la porta

Forse un giorno
Nessuno intorno
Chiudendo la porta
Sei quasi morta
Non te ne sei accorta
Ci hai chiuso il dito
Appena guarito.
Lo stesso mattino
Non vedi il gradino
Cadi per terra
Una mano ti afferra
Ti stacca la mano
La porta al suo piano.
Per strada di corsa
Ti ruban la borsa
Tu cadi sui vetri
E mentre ti arretri
Un'auto ti investe
Ti viene la peste
Ti stupra un vecchio
Va un'ape nell'orecchio.
E quando poi alla fine sei stanca
Ti metti seduta
E si spezza una gamba.

Dieci secondi prima di sera a gennaio 2

Come la luce che non ti aspettavi di trovare
il mondo finge, e cela
con apparenze davvero noiose
i buffi misteri dentro alle cose.

Che è come trovare intatta
la cameretta quand'eri bambino
adesso, larga tutto quanto il cielo
che se ridi ti ritrovi dentro.

E non è solo il cielo son proprio
le cose la botola nascosta
per cadere nel gioco assurdo
le guardi: non ridono perché lo sanno.

Dieci secondi prima di sera a gennaio

Non pensavo di sentirmi tanto appagato
quando a tenda scostata aprii la porta:
piano alzai, piano, gli occhi e l'azzurro
sfumato in blu mi riempì di vera gioia.

Cyberpunk

Ronzii di lampioni nel buio astrale  e non le speranze. Oggi due cuori si lanciano onde radio frementi angoscia che l'altro non le inter...