Ancora su "La Galassia dei Dementi" di Ermanno Cavazzoni

È stato già osservato, almeno in maniera vaga come il romanzo di Cavazzoni del 2018, La galassia dei dementi, somigli a una di quelle opere della Letteratura popolare italiana medievale e rinascimentale, come il Decameron o l'Orlando Furioso o (il barocco) Cunto de li cunti, caratterizzate da un uso giocoso della fantasia e dell'immaginazione come base per l'invenzione narrativa. Atteggiamento, questo di gioco, che restituisce ai loro lettori un approccio tollerante nei confronti della fantasia, consolatorio ed anche esaltante, ma non certo pauroso.
Punto importante questo: la fantasia, la devianza dalla razionalità, l'uso dell'immaginazione non vogliono fare paura. Mentre la stragrande maggioranza dei libri smerciati dal Settecento ad oggi esprime un atteggiamento snob verso il mondo della fantasia e dell'immaginazione (ad esempio insistendo sul terrore verso i pazzi e la follia, sull'infrazione della norma-tradizione), Cavazzoni riprende a farne un gioco, ma un gioco molto molto serio, di ricombinazione dei dati della realtà e delle conoscenze scientifiche. Questo atteggiamento nei suoi confronti, inscrive il poderoso romanzo dello scorso anno a pieno diritto nel filone medieval-rinascimentale della letteratura anti-realista: definizione con il quale vogliamo intendere la Letteratura pre-realista, recante i caratteri già notati da critici come Bachtin (in Dostoevskij o Rabelais) o Celati (in Finzioni Occidentali), e che si ricavano per contrasto, cioè confrontandola con la letteratura realista prodotta a partire dal Seicento e che esplose invece dal Settecento. Una letteratura diversa, quest'ultima, perché esprime la nuova mentalità dell'uomo moderno, orientata verso l'individualismo ed egoismo, verso la cura vittoriana della facciata pubblica per nascondere i lati passionali, pulsionali, inconsci. Nel Realismo le poetiche si basano su ciò che è presunto osservabile e sperimentabile da tutti: sull'ambiente, su ciò che si vede (alla luce), che è chiaro, senza misteri, razionale e scientifico, più oggettivo possibile. Ecco perché in quei secoli nasce l'idea stessa di una paura verso le incontrollabili manifestazioni della intima e privata vita psichica, o si sottovaluta tutto ciò che è soggettivo, si ridicolizza il lavoro dell'immaginazione, da quegli stessi secoli abbassata a materia per libri da piccoli (vedi anche Laura Ricci, Paraletteratura).
Forse è proprio con l'Orlando furioso che La galassia ha più tratti in comune, perché la riflessione su ciò che è "normale" e ciò che non lo è, viene posta sistematicamente dietro a ogni pagina, in ogni nucleo narrativo. Cosa è reale e cosa non lo è, risulta una domanda problematica e tutt'altro che risolta, neanche gli autori sanno né vogliono indicarcelo nelle loro opere: vogliono "moderatamente" ribaltare le convenzioni a riguardo.
Cavazzoni diventa qui l'eremita, il pensatore solitario che, quasi come un nuovo Leopardi, porta avanti la sua disperata campagna contro un progresso scientifico, tecnologico, merceologico che risulta oggi, senza troppi fronzoli e menzogne, il nostro vero e proprio orizzonte culturale, la base di conoscenze condivise da tutti. Quasi senza speranza rimane il suo messaggio: cioè avvisare gli uomini del XXI secolo che si sbagliano a credere che non esista altro al di fuori della Scienza, al di fuori dell'oggettività condivisa che viene incoraggiata a partire dal Sei-Settecento a discapito del mondo interiore psichico e soggettivo.

Ricorda Futurama perché ad essere presa in giro non è la Scienza di per sé, che rimane una manifestazione del nostro amore e interesse per la Natura, ma per quella sottospecie di conoscenza scientifica vaga e imprecisa, immaginifica, che caratterizza effettivamente la società contemporanea dell'Occidente. Gli occidentali "medi", ispirati da volumi di letteratura moderna e positivistica, si proclamano possessori di una Sapienza che fornisce loro una mentalità più avanzata, progredita e perfezionata rispetto alle sapienze di altre culture. Gli occidentali inneggiano la scienza e la tecnologia perché producono meraviglie, cioè anche più delle risposte ai loro bisogni, e regolano le loro esistenze. Si vive sempre più nelle città, che vengono costruite e mantenute appositamente per far sopravvivere il meccanismo che le tiene in piedi, perciò anche la morale e la cultura in generale si abituano alla vita controllata dall'economia del mondo globalizzato; si sta comodi stando a certi patti, ma si dimentica e si ignora tutto ciò che dalla città è fuori, oltre a tutto ciò che c'era prima. L'umanità si preclude delle strade per il futuro, orientandosi sempre più verso una condotta, una possibilità, ed escludendo le infinite altre. Si esalta il presente e il vicino, e si ignora la Storia e il lontano: ognuno esalta se stesso vanamente, pensa di farcela da solo o di essere migliore e più dotato degli altri. Tutti la pensano così, di essere autosufficienti, e questo va bene perché ormai possiamo dire sdoganato e accettato da tutti l'individualismo dilagante. Siamo in Occidente, siamo seri, scientifici e tecnologici, non abbiamo tempo da perdere per gli altri. Se l'economia, la politica, la scienza e la tecnologia (la Ragione) regolano la mia vita allora ci pensano loro stesse a farlo anche agli altri. E così ognuno si sente dispensato di fare qualcosa di buono, utile... di fare qualcosa. Dipendiamo dal sistema e ogni iniziativa viene scoraggiata da una parte o dall'altra, cioè o dalla Società o dalla politica e dalle leggi, a meno che non sia molto moderatamente personalistica: cioè sono tollerati soltanto i servizi per acquirenti-consumatori-turisti, che non turbino troppo il meccanismo del sistema.

In questo sistema possiamo dire esserci ancora un angolo, disprezzato, di sottocultura (purtroppo!) in cui è tollerato aprire squarci nel tessuto culturale contemporaneo per vederci da fuori. Lì appariamo ottusi e ridiamo di noi stessi, della nostra stessa ottusità: lì risiede la sfera del comico, come un'idea platonica nel suo ambiente ideale. Un comico che ride della stessa persona da cui nasce, forse per renderlo capace di accorgersi dei suoi errori più stupidi, come quello di presumersi esseri logici e infallibili.

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