Gli scrittori muoiono

La morte di Marat di Jacques-Luis David: analisi 
Dante, Foscolo, Manzoni, Salvia, Sciascia... Fra le attività principali del mestiere dello Scrittore indubbiamente quella a cui è data maggior peso per valutarne l'opera è la sua Morte: un bravo Scrittore deve soprattutto essere morto, e, se è morto, tutti automaticamente mossi da pietà e dispiacere ne coglieranno, apprezzeranno e loderanno le doti artistiche e letterarie. In attesa dell'apice della loro carriera, molti scrittori passano il tempo provando la propria penna su fogli di carta, a volte per la gran noia si lasciano andare in visioni fantastiche che la loro penna segue e descrive, ma sicuramente non è questo un aspetto fondamentale dell'essere Scrittori, che abbiamo detto devono prima e soprattutto essere morti.

 Si noti il motivo centrale della Morte in tantissime opere letterarie, nelle migliori anzi: la si ritrova già in Dante e Petrarca, nei quali, se un attento lettore analizzerà la loro opera, si troverà faccia a faccia con questo antico topos letterario dell'autore che in quanto autore deve morire, e che prima di morire vuole cercare di portare a termine degli obiettivi, come, ad esempio, raggiungere la fama tra gli uomini, lasciare un vestigio di sé; tutto, appunto, in vista della sua Morte.
Un autore di letteratura sa più degli altri che egli morirà. Non solo più degli autori di libri non letterari, ma più di tutti gli altri uomini. E la sua morte non sarebbe un incidente, perché la Morte di un autore è una parte del lavoro dello Scrittore. Non per questo però sarebbe necessario morire in maniera più eclatante degli altri: cioè non esiste uno scrittore "più" morto o morto "meglio" di altri: lo Scrittore deve, anche in punto di morte, fingersi un uomo qualunque e un'anima qualsiasi, deve inscenare la morte di qualcun altro, far finta che a morire sia una persona a caso e non uno Scrittore in pelle e ossa. Non servono morti eclatanti.

 E non si sa perché deve far finta di morire come tutti gli altri e poi invece lo deve fare per lavoro, forse solo per dare l'impressione che lo Scrittore recentemente estintosi fosse un uomo comune, perché alla gente in genere piace pensare che qualcuno che abbia fatto cose belle e importanti fosse una persona apparentemente qualsiasi, e con le stesse capacità che hanno sempre avuto tutti gli umani.
Molti scrittori però si sono rovinati la Morte, nella sua attesa, scrivendo cose ridicole cioè molto molto seriose: una delle cose più divertenti è vedere una persona che si crede esperta in qualcosa. Quindi si sono buttati su argomenti tradizionalmente seri o a trattare stupidaggini con metodo letterario, in entrambi i casi rovinandosi la reputazione. Hanno sprecato la loro occasione (Vita) perché facendo gli esperti seri, questi scrittori saranno odiati dal pubblico, che desidererà anzitempo la loro dipartita, e li eviterà durante e dopo la Vita.

 Invece non si fa così: uno Scrittore "vince" cioè fa il colpo grosso in letteratura, se mentre vive nessuno si accorge di lui. Deve rimanere sconosciuto fino alla morte perché altrimenti non è esattamente uno scrittore. Giuseppe Tomasi di Lampedusa oppure Italo Svevo sono stati lavoratori esemplari sotto questo punto di vista. Oppure uno Scrittore serio lavora ogni giorno anche se in realtà non ha mai scritto niente in vita sua.

 È un lavoro olistico, nel senso che coinvolge tutta l'esistenza di una persona, che se è scrittore fa lo scrittore durante tutta la sua vita anche quando non lavora e anche quando non vive, è un progetto a lungo termine.

 Ora, ci si può confondere e, poiché tutte le persone muoiono, è difficile dire quale defunto recente fosse stato Scrittore e quale non lo era. Molti furbetti, per fingersi Scrittori, ricorrono alla scelta professionale del suicidio, ma se si viene a scoprire che la loro morte è stata programmata e non avvenuta per incidente, allora si comincerà a dubitare delle loro capacità letterarie; ma, d'altra parte va ricordato che non bisogna subito buttare tutto perché anche molti bravissimi scrittori e poeti, accorgendosi della futilità della loro vita e di quanto fosse necessario morire, scelsero di suicidarsi non per scelta professionale autoriale, ma perché non sopportavano questa prospettiva così lontana.

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