La stanza vuota

Quando aprii la porta della stanza la trovai vuota, senza più i miei mobili, senza i miei libri e la mia chitarra. Aprii la finestra, e alzai le tapparelle, ma la finestra era stata murata. Perché mi hanno murato la stanza? Avevo la vista migliore della città, con i tetti in tegole marroni e le torri delle chiese illuminate di notte, i colli verdi in lontananza che si alzavano fino al cielo. Era ancora casa mia? Potrei sempre aver sbagliato casa... Ma girandomi, notai che non c'era più la porta, al suo posto solo il bianco della parete ora senza più poster e fotografie appese. Una stanza completamente vuota, non come me la ricordavo io, piena di gente, di miei amici, i miei parenti, i miei fratelli, i conoscenti e quelli mai visti prima in vita mia; ora c'è chi di loro è morto, e chi è ancora vivo, sparso per il mondo come del resto anche quelli morti; non so dove fossero andati, festeggiavamo e credevo che la festa andasse bene. Avevo visto tutti divertirsi e fare le cose che veramente sentivano di voler fare, e tutti erano allegri; davvero una gran bella festa. C'era anche lei, l'ho rivista, non ricordo di averla invitata, e non so gli altri da chi fossero stati invitati ma erano tutti i benvenuti, e anche lei lo era. Mi parlava in maniera dolce, serena e tranquilla sorridendomi, come non fa più da troppo tempo. Io l'abbracciavo, l'ascoltavo e le parlavo e poi la portavo a ballare in mezzo a quegli alberi. Lei volteggiava e lasciava ondeggiare i suoi veli rossi, che rimanevano in aria sospesi senza il peso né la gravita. "Sei ancora importante per me" mi diceva, "torniamo dagli altri, tua madre sta per stappare lo spumante". Io non ci avrei mai creduto, ma mia madre stava davvero stappando una bottiglia da cui uscirono bollicine, e c'era mia nonna che avvicinava il suo bicchiere prima degli altri invitati e se lo faceva riempire guardandoli col sorriso sulle labbra, contenta, e brindava alla salute di tutti. Se era contenta era perché era tornato mio nonno, morto già da quattro anni, che le mancava terribilmente. Lei ha pianto per lui ogni singolo giorno da quando successe, ma adesso erano di nuovo insieme, abbracciati e felici, e anche mia madre e mio padre li abbracciavano e anche i suoi fratelli, con i miei cugini tutti stretti ad abbracciarsi, e guardavano sorridendo me e lei che passavamo davanti a loro. Ci salutarono, e noi ricambiammo. Nel sentiero che io e lei percorrevamo insieme mano nella mano incontrammo Francesca e Davide che erano nudi e correvano verso di noi con il vino in mano cantando ritornelli popolari, e a vederli, lei lasciò la mia mano guardandomi con un'espressione di compassione, di pietà, e io non riuscivo a capire se fosse lei a darmi la sua pietà o se cercasse la mia; ma risposi con un'espressione uguale alla sua, dando e ricevendo entrambi pietà. Lei si girò di spalle e si spogliò, lasciandomi rivedere per l'ultima volta le sue forme tonde e morbide che tanto avevo amato e desiderato, voltò la testa verso di me e mi soffiò un bacio in aria, poi si unì a Francesca e Davide e andò via cantando con loro. A questo punto mi ritrovai solo, ed ebbi l'occasione di cercare la persona che più desideravo incontrare, che non capisco come mai non fossi ancora riuscito a vedere. Quel giardino notturno era pieno di persone, ma lui ancora non l'avevo incontrato. "Strano" pensai, "che non sia venuto neanche questa volta? Eppure c'è tutto quello che gli piace: uno stranissimo gruppo hardcore anni '80, tante bottiglie misteriose da bere, tantissime ragazze da lasciarti senza fiato..." e continuai a cercarlo affannosamente tra gli invitati senza però riuscire a trovarlo.
Per questo salutai tutti e tornai a casa mia nel giro di pochissimi attimi, nonostante fosse lontana sicuramente centinaia di chilometri da quel giardino, e quando ci entrai la trovai completamente vuota, deserta, con solo il bianco delle pareti. Entrato e rimasto murato dentro la mia stanza senza più poster né finestra, notai una piccola porticina nera nel muro che non avevo mai visto prima perché veniva coperta dal mio letto, adesso scomparso. La aprii e ci entrai. Dentro quella porticina trovai un grandissimo ambiente grigio poco illuminato che sembrava una costruzione militare, di cui non riuscivo a vedere la fine immersa nel buio, vedevo solo il soffitto ad almeno venti metri sopra la mia testa e nient'altro, decisi quindi di avventurarmici dentro e percorrerla. Anche quel grandissimo capannone misteriosamente comparso sotto il pavimento della mia stanza era completamente vuoto. Non un oggetto posato per terra, non una sola anima, nessun rumore. Mi sedetti per terra alzando un nuvolone di polvere ed accesi una sigaretta, le cui spirali di fumo si unirono alla nuvola di polvere. In quella nuvola iniziai a scorgere allora dei movimenti, delle colonnine di ombra che bloccavano la luce lontana e fioca. Era una mosca che ronzava, che mi si avvicinava e mi girava intorno alla testa. Io la scacciai con un gesto nervoso della mano, ma lei rimaneva lì sopra la mia testa. Solo pochi secondi dopo si appoggiò sul mio ginocchio, ed io potei osservarla meglio. "Non credevo di poterti incontrare in un posto simile, saresti potuto venire alla festa di ieri, ti saresti divertito". E la mosca rispose con una voce che rimbombava in tutto quel capannone sotterraneo "Non ci volevo venire in mezzo a tutte quelle persone, io ne incontro solo uno per volta". Erano almeno sei anni che non sentivo quella voce, e perciò rabbrividii. La mosca continuò: "Oh che fai ti spaventi? Eri tu che venivi a cercarmi in tutti questi anni, e mai ti accorgevi di me solo perché sono diventato una mosca". Continuai a guardare quella mosca che diceva ancora "Lo sai che sei tu che mi vuoi vedere così, io avrei preferito qualcosa di più gagliardo. Anche un topo mi sarebbe bastato!" ed io: "Eh si, ti chiedo scusa di questa incarnazione, ma ti volevo esattamente così. Ti cercavo per tanti motivi: a volte mi mancavi e basta, altre volte volevo che fossi con me a vivere e sentire le situazioni in cui mi trovavo io, raccontarti ciò che ho fatto, ciò che penso, anche chiederti delle cose". Ed il mio amico: "Se sono qui è perché stavolta mi hai invocato avendo veramente bisogno del mio aiuto. Sei messo male amico mio, credevo di averti insegnato tante cose, a cavartela in ogni situazione, e invece guardati adesso! Sembri una pera cotta, un niente ti fa traballare e rischi di cadere per ogni soffio di vento". "Se sto così è colpa tua, se sei morto i tuoi insegnamenti valgono una pippa, ti sbagliavi anche tu". La mosca rise e rispose: "Ahah! Io ti insegnai proprio il contrario di questo e tu lo sai bene. Io ti ho insegnato a fare le feste con gli amici! Se stai così perciò non è colpa mia, e tu stai cercando la soluzione nel posto sbagliato. Qui non troverai niente di buono, mai". Dissi io: "Dimmi, dove siamo adesso amico mio?", e lui: "E' uno spazio grigio, poco illuminato, sotto la superficie della Terra. Sembra vuoto ma in realtà è completamente pieno di polvere che volteggia in aria, i suoi granellini vagano liberi e quando si scontrano si uniscono e acquistano il peso necessario per cadere al suolo. Qui non accade altro". Io mi guardai intorno e vedevo la polvere ammassata sul pavimento. C'erano almeno dieci dita di polvere per terra. Mi girai verso il mio amico dicendogli: "Potevi anche dare una sistemata, sapevi che avresti avuto visite stanotte" e lui sorrise. "Caro amico, questo posto è una schifezza con o senza me e te. E non è casa mia, né casa tua, è solo un anfratto sotto la tua, tu hai sbagliato posto". Io allora mi alzai e dissi "Allora portami da un'altra parte, fammi stare meglio, sai cosa sto passando ultimamente. Ricordi quando andavamo a guardare quei bei culetti delle ragazze di Strada Maggiore? Scherzavamo, parlavamo, avevamo progetti, tante cose da fare. Andavamo a prendere le birre gelate dal bar di Tonino e rimanevamo tutto il pomeriggio su quel gradino pieno di crepe e cicche di sigarette. Poi andavamo al locale a suonare le nostre canzoni. Eravamo noi i signori della strada, noi soli vivevamo e facevamo le cose che contano, solo tu ed io e tutti ci guardavano desiderando di essere noi. Vieni su con me e torniamo a Strada Maggiore, ho trovato anche qualche nuovo riff interessante da suonare che ti piacerà". La mosca fece un veloce giro ronzando in aria, come per riflettere e formulare la sua risposta, e tornò poi a sedersi sul mio ginocchio rispondendomi "Tu soffri, non per me, non per te né per il tuo mondo. Tutto ciò che è fatto può tornare ancora, ma ciò che non deve più tornare non torna. Anche io penso sempre a quei giorni, credendo che tu stia ancora facendo le stesse cose poiché hai la fortuna di esserne capace, di averne la possibilità. Adesso vieni pure con me, ti mostrerò che anche io quaggiù devo cavarmela come sempre, come fanno tutti. Non è triste e disperato come si dice, io mi trovo anche abbastanza comodo, avendo già vissuto quella vita così piena che ho avuto". Ci alzammo e mi mostrò il suo mondo grigio, pieno di cose invisibili ai miei occhi ma che comunque sentivo vive, che si muovevano, che si divertivano, scherzavano, si guardavano passare proprio come facciamo noi, passeggiavano, correvano, cambiavano posto se non gli piaceva. "Rimarremo per sempre soli? Ed io guarirò?" chiesi io, ma la mosca intanto era sparita.
E' da quel giorno che mi ritrovo rinchiuso sotto terra in questo enorme ambiente grigio pieno della stessa polvere in cui sto incidendo con le dita queste mie lettere, l'ho percorso in lungo e in largo senza trovare mai l'uscita. Proprio adesso che, con gli anni trascorsi qui ho riflettuto sulla nostra conversazione e trovato la soluzione ai miei mali, saprei come porre rimedio alle mie angosce. Da quel giorno, perciò, io mi danno l'anima perché non riesco più a tornare in superficie. Forse, sono morto già arrivando qui...

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