Con la chitarra, l'Arte la Poesia, mi è capitato di avere un rapporto veramente tormentato: erano l'unico sfogo durante lunghi mesi in cui fui completamente solo, senza amici in un'altra città, senza nessuno con cui riuscivo a legare veramente. Avevo tanto da lamentarmi e nessuno a cui potevo raccontare che mi succedeva, che mi aiutasse a fare chiarezza. Nessuno ad ascoltarmi quando ne avevo bisogno. Così tornavo a casa da lezione e mi sfogavo con l'unico strumento che avevo in camera mia, suonando con rabbia o scale pentatoniche rabbiose, o insistenti fino all'esasperazione, fino alla paranoia, con mille ghirigori che insistevano intorno a pochi tasti della chitarra, la solita decina di tasti. Erano gesti di sfogo, come una scarica di rabbia durante una rissa, mossi da un'autentica e viva passione, da entusiasmo. Perché bisogna crederci in quello che fai se vuoi suonare bene. Questo per quanto riguarda lo sfogo fisico; per quello psico-emotivo invece ricorrevo alla scrittura. Scrissi molto, davvero molto in quei mesi. Cercai di realizzare il mio sogno che avevo fino ad allora, cioè scrivere storie divertenti e intelligenti, spesso con riflessioni sulla vita, sull'arte, sullo scrivere stesso, sul tormento. Non riuscii a realizzare niente di veramente soddisfacente però, così ripiegai sulla Poesia: la bellezza della lingua, l'arte della parola che con il materiale più economico e abbondante è in grado di realizzare forme bellissime, che sono caratteristiche appunto del linguaggio. La contemplazione mentale della bellezza, la ricerca della bellezza mi facevano stare bene; le consideravo esercizi o esperimenti per rendere migliore anche me, la mia intera mente. La musica e la Poesia hanno in comune il fatto che colui che le fa è il capo assoluto e unico responsabile degli elementi di base (note o parole) e del mondo che crea. Il mondo che uno crea ed espone agli altri è distaccato dall'autore, che tuttavia in esso si cela, in esso l'autore si presenta implicitamente sotto una certa veste: gioca secondo le sue regole o è onnisciente, si lascia trasportare o è personaggio di una trama, la subisce passivamente o è estraneo dalla storia. Ogni altra Arte è così, e a ben vedere anche ogni stile di vita può essere così. Lo scopo è raggiungere livelli alti, qualcosa di bello. Bello, non "grazioso". Bello è qualcosa di ben formato, non qualcosa di buon gusto, stucchevole. È raro trovare qualcosa di bello a partire da materiale stucchevole, forse più facile in musica e in alcune poesie, quasi mai in racconti o romanzi. Lo scopo è sempre fare qualcosa di ben formato, che realizzi in maniera apprezzabile dai sensi una forma. E dietro l'apparenza di questa forma, inserire dei buoni motivi che giustifichino la sua esistenza - slegata dalla vita reale - nel mondo metafisico dell'Arte. Fare una forma coerente, ben definibile, un sistema coerente di elementi (note e parole) che seguono regole appositamente individuate per una singola composizione. Dare regole a una pulsione per renderla apprezzabile ai sensi di altri individui: espressione di sé. Dei bei gesti possono produrre molto più di una bella melodia nel mondo reale e sociale; una bella poesia può consolare delle anime tormentate come quella del suo autore.
Comporre un'opera di questo genere di arti, per gli umani, ha uno scopo simile a quello che hanno gli abiti, o l'architettura. Un simbolo della cultura, sì, un valore antropologico. Pura esibizione di un'intenzione. Ostentiamo vestiti, orpelli, ma anche musica, poesia. Bellezza, anche se non ce ne accorgiamo, anche se volessimo distruggere la bellezza fin'ora conosciuta; cioè se volessimo fare un bel, maestoso, ammirevole Brutto. La quotidianità non è poi così vana, se l'ostentazione di questo niente che non interessa a nessuno ha significati così profondi dagli albori dell'umanità. Allora ogni singolo gesto assume in realtà il ruolo di esperimento per il miglioramento delle proprie tecniche e capacità. Anche se non lo cerchi intenzionalmente. Anche vestirsi malissimo è un'arte che cerca un sistema coerente di vestiti per insultare in maniera più esplicita possibile il bello del buon gusto. E anche questo è bello, perché si vuole un abbigliamento conforme allo scopo, quindi completo, perfetto. Il valore antropologico dell'ostentare la propria interiorità, del lasciarla sedimentare nella vasta cultura di un popolo potenzialmente infinito in veste di forme, del dialogo in cerca di conforto, di approvazione... viene tutto dal credersi distanti dagli altri, distinti dagli altri (e in realtà lo siamo o lo eravamo quando viviamo in branchi separati nella savana o nelle città) e dunque dal bisogno di trovare i propri interlocutori ideali.
Ci sarà qualcuno al mondo che la pensa come te? Certo, bisogna solo andarlo a trovare, conoscere il suo stile di vita, i luoghi, i mezzi che usa per comunicare. Lo stavi solo credendo di essere lontano e distinto dagli altri, vedi? che pensavi? siamo tutti così come te, stiamo sempre insieme e collaboriamo come amici, come fratelli, come pari, e parliamo, parliamo finché non colmiamo le crepe che ci tormentano, sì, siamo semplici e lo sapevi che eravamo sempre tutti qui dietro.

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