Voglio bene soltanto a ciò che non si vede, ma sento, conosco, ricordo e poi associo, e così distinguo.
In questa forma io vi penso, e voi a me, d'altronde, vi approcciate, dietro muri spessi di apparenze che distorcono le vostre fattezze.
Apparenze fastidiose, ostacoli, impiccione; che mentono e il pensiero è costretto ad aggirare. Ma che almeno così fate lavorare. Le usa solo come simboli, per riferirsi a voi, ma intanto le deve ignorare: guardando loro, guardare invece altro.

Cos'altro fuori c'è ricordo, e non voglio ricordare. Triste, orrendo, là in fondo, e vero. Tutto - tutto! - orrendamente s'assomiglia; non vive, no, ma che viva pare.

Ma qui dentro chi mi può sentire parlare, se non emano le mie apparenze? Due finzioni, approssimazioni, e far finta di capirci: com'è stata anche oggi la mia giornata.

Vengo qui dietro, sperando di capirci, perché io qui capisco voi, e voi qui parlate a me, senza i vostri orpelli da fantocci, qui si vede chi - davvero - si è, più chiaramente si vede non soltanto guardando.

Lascia parlare. Non me, chiunque, lascialo dire, lascialo fare: non perdere un attimo, ascolta, assisti, tu non parlare se non alla fine. Aspetta e non stare a giudicare. E quando ha finito parla soltanto per ripetere ad altri, senza imbrogliare.

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