La divina tragedia

I.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
nel mezzo del cammin di nostra vita
e questa siepe, che da tanta parte
mi ritrovai per una selva oscura,
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude
ché la diritta via era smarrita.

Ma, sedendo e mirando, interminati
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
spazi di lá da quella, e sovrumani
esta selva selvaggia e aspra e forte
silenzi, e profondissima quiete
che nel pensier rinova la paura!

Io nel pensier mi fingo; ove per poco
tant’è amara che poco è più morte;
il cor non si spaura. E come il vento
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
odo stormir tra queste piante, io quello
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte

infinito silenzio a questa voce.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
tant’era pien di sonno a quel punto
e le morte stagioni, e la presente
che la verace via abbandonai.
E viva, e il suon di lei. Cosí tra questa
ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
immensitá s’annega il pensier mio
là dove terminava quella valle
e il naufragar m’è dolce in questo mare
che m’avea di paura il cor compunto,


II.
Nel mezzo del cammin di una selva oscura
mi ritrovai per nostra vita
ché la diritta via era dura.

Ahi quanto a dir qual paura
esta selva selvaggia e dura
che nel pensier rinnova cosa aspra e forte.

Tant’è amara che poco vi trovai
ma per trattar ben della morte
vi dirò delle altre cose ch'i' non so ben ridir

tant’era pien di sonno com’i’ v’intrai
che la verace via a quel punto
terminava quella valle.

Ma poi ch'i' fui al piè compunto
guardai in alto...

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