L'esser di tutto suo contento giace (Par. II, 106-114)

  Or, come ai colpi de li caldi rai
de la neve riman nudo il suggetto
e dal colore e dal freddo primai,
  così rimaso te ne l’intelletto
voglio informar di luce sì vivace,
che ti tremolerà nel suo aspetto.
  Dentro dal ciel de la divina pace
si gira un corpo ne la cui virtute
l'esser di tutto suo contento giace.

( Adesso, così come una persona
resta senza neve addosso quando è colpita dal sole
che [alla neve] muta colore e temperatura,
  così nudo voglio scolpirtelo in mente
questo concetto così vivace,
che ti sembrerà una luce tremolante.
  Dentro al cielo della pace divina [l'Empireo]
si rigira un corpo nella cui virtù
giace l'essenza di ogni suo contenuto )


Mi ha sempre affascinato l'ultimo verso di queste tre terzine, quello che dice l'esser di tutto suo contento giace, il numero 114. Non chiarisce quale sia il soggetto della frase: cos'è che giace? L'esser di tutto oppure suo contento? Credo che lo facciano un po' entrambi, che giacciano sia l'essere di tutto che il suo contenuto. Ma questi sostantivi a quale cosa si riferiscono della realtà concreta? Qual è il loro referente?

Interpretare Dante è un'opera mai terminata, è impossibile limitare la portata del significato della sua Poesia, che è capace, a distanza di otto - ben otto - secoli, di aprire interpretazioni sempre originali.

Come per la Scienza nel suo rapporto con i fatti reali, come per la filosofia per il suo campo di studi, anche l'Opera di Dante non è mai stata una dottrina unica e univoca. Al contrario, proprio come l'esperienza viene vissuta in maniera diversa da ogni soggetto, che ne trae i suoi significati soggettivi, così anche l'approccio al testo di Dante (ma a qualunque testo letterario) giustifica molteplici e differenti letture e interpretazioni. In particolare, alcune parole, frasi, espressioni, alcuni episodi, discorsi e personaggi, possono dar luogo ad ambiguità: non solo cortocircuiti tra campi del sapere che producono meraviglia, ma veri e propri sistemi interpretativi tra loro differenti che strutturano e spiegano gli elementi in maniera diversa. L'ambiguità è un effetto non casuale, ma anzi voluto da Dante, che se ne serve in diversi luoghi della Commedia.

Il modo in cui ci viene introdotto, presentato, questo essere (nominalizziamolo) è così pacato e piacevole da aspettarcelo vivace come una luce che non riesce a star ferma, tanta è la sua voglia di muoversi. "Tremola", cioè non semplicemente "trema", ma si agita come un bambino felice di qua e di là senza mai fermarsi. Freme dalla gioia di girarsi intorno.

Via il ghiaccio freddo del dubbio, dell'errore, via le false immagini: la Verità che riscalda e innalza l'animo e lo spirito è giocherellona!

Quest'essere pare che si comporti come un bambino o una bambina, gioca proprio come loro.
Mi piace pensare che quest'Essere sia proprio una bambina; altre volte mi sembrava che fosse una gatta che giace in una cesta, tutta contenta, per riposare. Ogni tanto si gira a pancia in su e per il resto del tempo ozia contenta.
Certo, in questa maniera si forza il significato di "contento", il cui significato è "contenuto" - le terzine hanno senso solo se "contento" significa "contenuto" e non "felice", "allegro" - ma, diciamo che la lettura è portata a questa interpretazione (di "felice" e soddisfatto) quasi spontaneamente dal contesto di calore, luce, serenità con cui è introdotto l'essere. Forse è un modo di descriverlo che a noi oggi ricorda ambientazioni domestiche rassicuranti.

E se il soggetto fosse contento nel senso di 'contenuto'? Anche in questo caso potremmo ottenere letture a loro modo coerenti, in quanto lascerebbe pensare che il contenuto di tutto l'Essere (nominalizziamolo ancora) sia rinchiuso in quella sfera. Perciò verrebbero in mente le corrispondenze medievali tra individuale e universale, tra micro e macro, della presenza dell'Uno all'interno delle infinite varietà di essenti, dell'uguale nel diverso.

L'ha fatto apposta (quel briccone) a non specificare che cosa volesse dire, cioè a legittimarci queste letture. Molte volte Dante rimane sul vago, facendolo apposta per stimolare i lettori a interpretare. La vaghezza è una tecnica che nella Commedia l'autore impiega in modi diversi per ottenere rispettivamente diversi obiettivi.

È importante tenere a mente la sottotraccia della precisione e della vaghezza presente nella Commedia, è un tratto basilare che nel testo interviene in diversi punti e su differenti livelli. Partendo dalla vaghezza che contraddistingue un ricordo, dalla imprecisione della mente umana nel capire l'ambiente ultraterreno, la vaghezza rapisce anche lo stile poetico, quando il poeta rinuncia a descrivere sensazioni e visioni perché non spiegabili a parole: è impossibile. Anche quando in un secondo momento si siederà a mettere per iscritto queste esperienze nell'aldilà, Dante non si sente capace di dare spiegazione a tutto quello che gli è accaduto.

 Ci sono due modi fondamentali di interpretare le parole e frasi più vaghe e ambigue della Commedia. Ad esempio quando lo fa nell'Inferno, la vaghezza è usata in maniera da rendere legittime letture non solo maliziose, ma addirittura vituperanti e tragiche, come nel discorso interrotto del Conte Ugolino, uno dei più alti esempi di reticenza. Lì si trovano parole interpretabili in diverse maniere, dove la lettura non letterale comporta un'interpretazione "peggiore" di quello che viene raccontato. È l'ambientazione, cioè il contesto infernale a consentirci di pensare al peggio: sappiamo che chi è condannato nell'Inferno ha scelto sempre l'alternativa sbagliata perciò peggiore.

Perciò nel Paradiso dovremmo aspettarci il meccanismo/i significati opposti: cioè che questo meccanismo poetico, di rimanere sul vago, non comporti letture maliziose, significati nascosti "peggiori" di quelli esplicitati. Anzi, la beatitudine delle entità paradisiache dovrebbero lasciar pensare a situazioni ancora più piacevoli di quelle esplicitamente narrate.

La Commedia non è un'enciclopedia. Essa non vuole insegnare ai viventi tutto dell'aldilà, la descrizione potrebbe non essere fedele. Anzi, vuole aprire squarci di ignoto nella realtà squallida medievale dominata dalla forza dei signorotti più potenti. Apre la Terra spaccandola, scende e sale dalla sua superficie come in un viaggio meraviglioso.

È meraviglioso per chiunque, infine, che non sia ancora nato il critico letterario capace di sapere e di spiegare tutte le sottotracce presenti nella Commedia, trovare i suoi significati è una missione ancora aperta, che accende l'entusiasmo di tutti.

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